Mi ricordo bene le prime volte in cui cominciai a litigare con il mio corpo. Come da procedura, i problemi iniziarono alle soglie del liceo. Non era solo la scoperta della propria sessualità e del sesso – di cui in realtà da bambini siamo ben consapevoli. Forse non era nemmeno la forza del desiderio, che ti insegna a guardare le forme degli altri con occhi diversi. Se si vuole parlare di se stessi e del proprio corpo bisogna avere il coraggio di osservare, di scrutare più a fondo. La vera frattura per me è nata allo specchio, cioè nel momento in cui mi resi conto che la persona riflessa davanti a me non era più la stessa quale volevo essere.

Malattie riflesse
I bambini hanno un grandissimo vantaggio, che consiste innanzitutto nell’essere in armonia con sè e il proprio corpo. Ci sono ovviamente eccezioni alla regola, ma più in generale si può dire che durante l’infanzia noi ci identifichiamo totalmente con la nostra corporeità. Segni di questa pace nascosta sono, per esempio, il fatto che da bambini noi non badiamo assolutamente all’estetica ed alla moda. Queste infatti nascono dal recupero dell’opinione sociale rispetto all’individuo – in altri termini quando ci rendiamo conto che possiamo apparire diversamente agli altri, rispetto al modo in cui appariamo a noi stessi. Per il bambino questa discrepanza è praticamente inesistente, e di conseguenza lui può vivere contento di sé – in anima e corpo.
Il passaggio verso la maturità invece ruota attorno a questa frattura. Per la prima volta mi fermai davanti al mio riflesso in bagno, e mi resi conto che ero vestito diversamente dai coetanei. Vidi le mie forme, all’epoca piuttosto larghe, e capii che molti (molte) avrebbero potuto non desiderarle – mentre anche io ne desideravo, e finora non lo sapevo, e quella fu un’importante scoperta. Volendo un po’ generalizzare si potrebbe dire che l’adolescenza è letteralmente un’età nata davanti allo specchio, il quale ne rappresenta l’oggetto centrale e totalizzante. Non è un caso che questa sia l’epoca spirituale dove spesso nascono malattie legate all’atto di specchiarsi – su tutte anoressia e bulimia. Malattie riflesse, accompagnate anche dal rapido cambio nel modo di vestirsi, che a volte assume toni addirittura violenti. Ma tutto ciò è fedele rappresentazione del netto senso di vuoto che si ha tra il sé che si riflette ed il sé riflesso.
Hegel come soluzione adolescenziale
Saper colmare quella frattura, ed il modo con cui lo facciamo, rappresenta la prima vera scelta che ognuno compie come individuo – su ciò che sceglie di essere. Ma del resto questa non è una novità. Lo aveva detto benissimo Hegel, quando sosteneva che il pensiero umano funziona proprio così: prima si è quello che si è; poi, riflettendo, ammettiamo una spaccatura e un’estraneità in noi stessi; lentamente infine tutto si muta e trova un equilibrio di sintesi, avviandosi verso altri step di crescita.
Ciò che mi interessa qui sottolineare è che non esistono una coscienza e un’anima separati dal corpo – quella persona allo specchio, quell’oggetto riflesso di fronte a me sono proprio io, e in quella materialità organica consiste la mia persona. Perciò gli atti che compiamo con il corpo sono atti che compiamo con tutto ciò che siamo. Ho impiegato anni per apprezzare la portata di questa semplice constatazione. Abbiamo troppo spesso la tendenza a pensarci come esseri spezzati: da una parte il mondo, dall’altra noi con i nostri pensieri. Il fatto che niente e nessuno potrà mai entrare nella solitudine della nostra coscienza può trarre in inganno, facendoci quasi ammettere che questa stessa coscienza sia separata dal resto di noi stessi – dal resto del nostro corpo. Un ragazzo continua ad avanzare convinto di questa idea, ma nel frattempo tante cose non tornano; tante azioni apparentemente inspiegabili, tante delusioni, tanta purezza infranta – sì, perché gli adolescenti hanno bisogno di purezza -, trovano lentamente la loro giusta causa nella semplice constatazione che noi siamo il nostro corpo. Così appare per la prima volta un po’ di sano realismo verso se stessi e gli altri; nello specchio comincio a non veder più proiettati i miei ideali, e posso finalmente osservarmi per quello che sono, anche se finora non lo avevo mai visto.

Sesso e parallelismo spinoziano
Se poi vogliamo pensarci ancora, ci sono tanti segni che indicano quanto l’intimità della coscienza coincida, in buona parte, con l’intimità del corpo. Anzitutto tramite l’integrità del corpo stesso. Per esempio, se perdessi un braccio o una gamba o un qualsiasi altro organo fisico, io sono sicuro che mi sentirei contemporaneamente privato di una parte della mia identità. Abbiamo affezione delle nostre dita e dei nostri capelli, così come abbiamo affezione di noi stessi – per questo mia sorella piangeva ogni volta che andava dal parrucchiere. Questo vale anche oltre la nostra stessa capacità di volere. Se io uccidessi una persona con il mio corpo, anche se non l’avessi mai voluto, per un certo verso mi sentirei comunque un assassino. “Non era mia intenzione privare qualcuno della vita, anzi sono stato costretto contro la mia volontà”. “Eppure lo hai fatto”, rimprovera una voce nella testa, “perché è stata la tua mano a portare fisicamente la morte”.
Poi ci sono quegli atti che sono davvero intimi. Sto parlando, ovviamente, del sesso e di tutto ciò che gli appartiene. Il primo a capire l’importanza della sessualità carnale per la nostra psiche fu, come sappiamo, Freud. Lui si rese conto che in quelle azioni segrete c’era molto in gioco, nonché molto da scommettere. Non si doveva più pensare al sesso nè come interazione tra corpi inerti – dove volontà e anima stanno da tutt’altra parte – nè come supremo gesto romantico. La sessualità è quel luogo dove cerchiamo il piacere attraverso il corpo, e poiché vivere di piacere è la base dell’impulso vitale, scegliere come e quanto educare quell’impulso significa scegliere la propria identità – cioè scegliere come educare se stessi. E infatti davanti allo specchio non ci sono solo forme ma c’è anche quel sesso che si vede anche da soli, anche al buio, anche quando siamo vestiti prima di uscire per una serata.
Non più contatto tra corpi, ma contatto tra persone. Non più contatto tra me e il mio corpo, ma contatto del mio corpo con me stesso. Così provare emozioni non diventa più una disposizione della cosiddetta “anima”, ma uno stesso atteggiamento del corpo. Esatto, si impara ad amare attraverso il modo con cui impariamo a toccare, ad ascoltare, ad abbracciare e a vedere gli altri. Il pensiero, da questo punto di vista, non è altro che una conseguenza astratta di questa base reale. O meglio, è la stessa cosa del corpo ma vista dal verso opposto – cioè non dal lato del mondo, ma dal lato della coscienza. Stessa cosa vale per la sessualità: espressione fisica di un pensiero che vuole, oppure espressione mentale di un corpo che desidera. E questo in filosofia si chiama parallelismo. Spinoza aveva ragione.

Un’etica fatta di carne
Dalla rottura allo specchio è quindi nata, per me, una ricomposizione. A volte i peggiori conflitti si risolvono semplicemente vedendo meglio, cioè notando la profondità nascosta dietro al velo della superficie. Non esiste contatto con il corpo che non implichi contatto con la persona. Ecco, questo può incidere davvero sul modo in cui posso e devo comportarmi – quindi risalire la mia sfera di valori, arrivando a toccare ciò che io considero bene e male nel mondo. Ciascuno stile di vita si riflette sul modo in cui ciascuno vive la propria intima corporeità, soprattutto entro la dimensione sessuale. Perciò ogni atto del corpo, ogni atto sessuale è sempre anche un atto etico; non nel senso di giusto o sbagliato, ma in quanto il sesso porta alla luce ogni nostra sfaccettatura nascosta, quindi ciò che riteniamo bene e male. Ed è anche un atto politico, in quanto manifestazione dei vincoli di forza che la società impone su di me, e che posso scegliere di rompere o accogliere.
Se voglio conoscere meglio me stesso e capire dove sto sbagliando – cosa dovrei fare, come dovrei vivere – è necessario fermarsi e guardare a quell’altro specchio che è il corpo che io sono. Lì dentro sono trascritte tutte quelle speranze, quelle aspettative, quei vincoli che io pongo verso il mondo e verso me stesso. Perché per certi aspetti, il letto e la nudità riflettono meglio di qualsiasi altra superficie. Un’etica umana è quindi sì possibile, ma essa parte non dall’altezza siderale di concetti astratti. Piuttosto essa parte dalla carne – e dalla mia carne. Allo stesso modo con cui anche l’azione di una classe sociale passa attraverso i corpi di coloro che si riuniscono in piazza, o che agiscono dall’interno delle stanze del potere.
Ed alla fine del percorso, quando l’adolescenza finisce e le fratture sono nuovamente ricomposte, ciò che ci rimane come infinito tesoro è solo una domanda. Uscendo dalle mie stanze e tornando alla vita, infatti, mi chiesi come fosse possibile vivere senza allargare la dignità fin dentro le mie ossa, dentro il mio corpo e la mia pelle. O forse, se il corpo è natura, persino al di fuori della razza umana. Ma questa è un’altra storia.
Bibliografia
Freud S., Introduzione alla psicoanalisi, Bollati Boringhieri, 2012
Hegel G.W.F., Fenomenologia dello spirito, Edizioni di Storia e Letteratura, 2008
Spinoza B., Etica, Bompiani, 2017
L’articolo è in aperto dialogo con:
Io allo specchio di Stefano Patriarca

Classe ’96, di Arezzo. Laureato magistrale a Pisa in filosofia. Un po’ ateo un po’ cristiano, mi piace professarmi cattolico, ma amo profondamente Nietzsche e ho dedicato due tesi alla teologia protestante. Penso che questa sia una buona definizione di “avere le idee confuse”. Appassionato di animazione e fumetti, spesso vado a passeggiare o a correre. Tutto ciò non fa altro che alimentare il mio passatempo preferito, e cioè avere la testa tra le nuvole.