La narrazione del conflitto

Nel pieno delle tensioni internazionali occidente vs “imperi del male” per come è presentata la narrazione dei nostri media, sembra bruciare in realtà proprio “il giardino europeo”. La Francia è scossa da numerose rivolte a seguito dell’omicidio di Nahel da parte della polizia. In questo breve articolo si tenterà senza pretese di certezza di inquadrare questo conflitto sociale.

Le rivolte sembrano presentare un duplice volto, di giorno cortei pacifici, mentre di notte è un susseguirsi di scontri tra manifestanti e polizia con distretti delle forze dell’ordine incendiati, così come auto, negozi ecc.

La reazione dei media è la stessa rispetto agli episodi precedenti: un mix tra paternalismo e classismo, e a tratti esprime una visione esplicitamente reazionaria e razzista. Infatti, se in parte si riconosce il problema sociale che vivono le banlieue, dall’altro lato i rivoltosi vengono descritti come selvaggi. I punti che vorrei affrontare sono: perché la violenza sui luoghi ha un significato? Dunque, qual è la posta in gioco dello spazio? In seguito, a confronto con i precedenti movimenti urbani, si tenterà di circoscrivere meglio questa serie di rivolte in Francia. 

La produzione dello spazio sociale. La lotta contro la marginalizzazione.

Molti autori sostengono che lo spazio sia un prodotto sociale. In particolare, per Lefebvre lo spazio è strettamente legato alla riproduzione dei rapporti di produzione e alla riproduzione dei rapporti sociali. Di conseguenza, in questa prospettiva esso diventa l’elemento conservativo della società che non può che essere vissuto con insofferenza dalle classi subalterne. Infatti, per Lefebvre il nostro sistema non fa che produrre uno spazio frammentato, marginalizzato, un habitat astratto che le classi e i gruppi sociali esclusi dal potere politico ed economico si trovano a subire. Essi si sentono alienati rispetto ad esso e possono soltanto, “vivendolo”, cercare di modellarlo, di attribuire significati diversi. Infatti, il nostro spazio urbano riproduce le contraddizioni del sistema economico, dunque è fortemente diseguale; cioè, presenta periferie senza servizi, opportunità di lavoro, con il diritto alla casa sotto attacco, di fronte a centri di potere con il massimo delle ricchezze e delle comodità. Lo spazio, introiettando le contraddizioni, può rappresentare anche un ostacolo al processo di riproduzione dei rapporti sociali, cioè non c’è una corrispondenza perfetta: incorpora quella discordanza dei tempi nei quali è possibile che avanzino nuove città possibili. Esso è prodotto dal sistema sociale, ma diventa successivamente un limite al suo sviluppo ( Lo spazio e i suoi mutamenti durante la pandemia ). Inoltre, nello spazio sociale sono incorporati anche tutte quelle temporalità divergenti: ritardi, anticipazioni ecc. (A lezione da Marx nell’ora di storia ).

Dopo aver sottolineato l’importanza che lo spazio riveste a livello sociale e politico si può intuire perché un certo tipo di violenza e distruzione sui luoghi possa avvenire. Durante l’esperienza del più celebre movimento rivoluzionario urbano, cioè la comune di Parigi, i comunardi nel pieno della lotta per trovare il modo di salvare la comune “persero tempo” dietro la distruzione della colonna Vendôme. Infatti, essa era il prodotto per eccellenza del dominio imperiale di Napoleone III e del suo processo di urbanizzazione selvaggio di Parigi che aveva escluso dalla città le classi subalterne. Il valore simbolico e politico del suo abbattimento era sentito come prioritario. Con ciò non intendo paragonare l’esperienza delle rivolte attuali alla comune di Parigi. Credo che il metro di paragone più vicino siano le recenti rivolte nelle banlieue o le rivolte antirazziste o urbane negli Stati Uniti (Es. Los Angeles). Infatti, c’è una forte componente razzista nel processo di segregazione spaziale e soprattutto nelle azioni repressive della polizia in questi luoghi. Dunque, se il paragone regge, anche queste rivolte avranno una natura tumultuosa e una vita breve. 

La caducità di queste esperienze di ribellione sembra dovuta all’assenza di organizzazione e alla non presenza di movimenti più organizzati. Anche la sinistra in senso lato ha sempre avuto difficoltà a partecipare o sostenere questa rabbia sociale, sebbene qualcosa si stia muovendo (https://jacobinitalia.it/il-lento-riconoscimento/ ). L’assenza di organizzazione può essere un riflesso di quello stesso processo di frammentazione dello spazio sociale e soprattutto al parallelo processo di depoliticizzazione della società. Con questo non si intende dire che i manifestanti non abbiano una chiara visione di ciò che subiscono e del senso della loro rivolta, piuttosto è vero il contrario. Nella violenza della notte avviene l’assalto alla città da cui sono stati esclusi e l’attacco a quei pochi luoghi dello Stato che hanno avuto modo di conoscere, cioè le questure di una polizia sempre più militarizzata. Infatti, qualsiasi piano per le periferie in Francia è stato abortito negli ultimi anni e l’unica presenza dello Stato che gli abitanti delle banlieue percepiscono è la repressione che si sta facendo sempre più violenta. 

Dopo aver accennato ad alcune delle ragioni delle rivolte e al loro rapporto con il tema del conflitto spaziale, è necessario chiedersi quali sono le difficoltà ma anche le potenzialità di questo fenomeno sociale.

Controllo dello spazio. Riscoprire una logica del possibile superamento

Uno dei limiti classici dei movimenti urbani è la difficoltà a conquistare il controllo dello spazio. Sebbene in una prima fase sia ottenuto il controllo di importanti luoghi della città (occupazione strade, quartieri, fabbriche, luoghi simboli del potere locale ecc.), il capitale continua a mantenere una maggior presa sullo spazio. In particolare, l’egemonia delle classi dominanti sui luoghi centrali del potere difficilmente viene scalfita. Inoltre, sembra mancare proprio questa pretesa alle recenti esperienze di rivolte urbane. La ribellione è contro lo Stato piuttosto che per la sua conquista. Di conseguenza, è anche più facile per i detrattori portare avanti la loro narrazione reazionaria che paragona i manifestanti a delle orde selvagge. Inoltre, come spesso avviene in queste circostanze si rafforza l’estrema destra che offre ordine e disciplina a quelle classi medie intimorite dal clima di scontro. A tal proposito trovo interessante la lettura che David Harvey dà alle rivolte a Londra nel 2005 in Città ribelli. Egli rovescia l’aggettivo selvaggio attribuito alle modalità della rivolta contro il sistema stesso. Infatti, per Harvey i manifestanti non fanno altro che riprodurre quella violenza selvaggia dell’attuale configurazione del capitalismo: un capitalismo sempre più predatorio, caratterizzato da processi di accumulazione esclusivamente speculativi (sia finanziari, sia immobiliari), attraverso espropriazione (privatizzazioni selvagge) e con interi gruppi sociali il cui reddito è garantito dalla rendita (mentre ogni anno viene battuto il record di sfratti precedente!). 

Forse questo limite può essere riscoperto come una potenzialità. Lo stretto legame tra la natura predatoria del sistema che produce segregazione sociale, diseguaglianze, sfruttamento, depoliticizzazione e marginalizzazione, e quella delle rivolte disorganizzate, non-strutturate, violente sembra contaminare le possibilità emancipatrici. Tuttavia, Marx nella ricostruzione della logica specifica del modo di produzione capitalistico sottolineava la sua natura contraddittoria, in particolare come le sue stesse “regole” di funzionamento rappresentassero un limite al suo sviluppo. In conseguenza di ciò, Marx sosteneva che il sistema portasse dentro di sé anche la possibilità del suo superamento. 

Se l’attuale configurazione del capitalismo sempre più instabile, diseguale e causa di frammentazione portasse con sé la possibilità della sua trasformazione proprio a partire da questi suoi aspetti contradditori, forse quella particolare forma di conflitto caotica osservata in questo articolo potrebbe rappresentare una potenzialità specifica del nostro presente. Forse è proprio in quanto rovesciamento del carattere più esasperante del sistema sociale, la peculiare forma di conflittualità della nostra epoca che ha come soggettività” proprio i dannati della terra. Forse dovremmo guardare a questa esplosione di rabbia sociale con meno paternalismo e con più interesse di approfondimento ed elaborazione.

Bibliografia:

D. Harvey, Città ribelli: I movimenti urbani dalla Comune di Parigi a Occupy Wall Street, Il Saggiatore, Milano 2013.

H. Lefebvre, Il diritto alla città, Ombre corte, Verona 2014.

H. Lefebvre, Spazio e politica. Il diritto alla città II, Ombre corte, Verona 2018.