Al centro di Fedora, metropoli di pietra grigia, sta un palazzo di metallo con una sfera di vetro in ogni stanza. Guardando dentro ogni sfera si vede una città azzurra che è il modello d’un’altra Fedora. Sono le forme che la città avrebbe potuto prendere se non fosse, per una ragione o per l’altra, diventata come oggi la vediamo. In ogni epoca qualcuno, guardando Fedora qual era, aveva immaginato il modo di farne la città ideale, ma mentre costruiva il suo modello in miniatura già Fedora non era più la stessa di prima, e quello che fino a ieri era stato un suo possibile futuro ormai era solo un giocattolo in una sfera di vetro. Fedora ha adesso nel palazzo delle sfere il suo museo: ogni abitante lo visita, sceglie la città che corrisponde ai suoi desideri, la contempla immaginando di specchiarsi nella peschiera delle meduse che doveva raccogliere le acque del canale (se non fosse stato prosciugato), di percorrere dall’alto del baldacchino il viale riservato agli elefanti (ora banditi dalla città ), di scivolare lungo la spirale del minareto a chiocciola (che non trovo più la base su cui sorgere). …  

Dei numerosi rapporti che l’immaginario Marco Polo di Calvino, ne Le città invisibili, porta dai suoi viaggi per l’impero alla corte di Kublai Khan, quello che racconta di Fedora è all’origine del battesimo di questo sito. Esso dice infatti qualcosa dell’intenzione che vi sta dietro.

Fedora è una città molteplice, perché esiste in molteplici versioni. Una sola di esse, tuttavia, è reale; le altre Fedore esistono come immagini, fantasie raffigurate di altrettante possibilità ormai scadute dinanzi una realtà che ha seguito un altro corso. S’intuisce, d’altro canto, come la Fedora attuale, «metropoli di pietra grigia», si sia piegata alla forza di una dubbia necessità, così deludendo le immaginazioni dei numerosi osservatori che nel tempo vi avevano sognato delle città ideali dall’aspetto decisamente più lieto di quello che poi la storia avrebbe inverato. E ciò nonostante, a ben vedere, nessuno dei produttori di questi modelli fantastici si fosse in effetti dimenticato della realtà: piuttosto l’aveva osservata e, immaginando, non aveva fatto altro che proiettarsi nel futuro secondo possibilità effettive e reali. Possibilità estremamente effimere forse – subito spente dall’incedere di un mutamento concreto certo non migliore dell’ipotesi –, ma per almeno un attimo vere.

Fedora, in sostanza, è una città che si sconfessa in continuazione. Non solo perché la Fedora reale sconfessa le aspettative dei suoi cittadini, ma soprattutto perché le aspettative di questi, raffigurate ed esposte, sconfessano la Fedora reale. La sua contingenza emerge al cospetto delle immagini di altre versioni d’essa stessa. E con ciò, anche la sua miseria grigia. Ed è qui che l’assonanza con quanto muove questo progetto diventa intuitiva: la volontà di sconfessare, nella sua apparente necessità inamovibile e salda, la realtà che ci è data. Certo non per rifiutarla nell’irreale, ma per ricostituirla in quanto scelta e possibilità; con il che, correlativamente, non può non presentarsi l’incombenza di tutto ciò che esiste al di fuori di tale necessità bugiarda: l’alternativa.

Tuttavia, a considerare attentamente la narrazione della mitica Fedora, sembra che l’esistenza di queste icone di un tempo mai avverato turbino molto poco l’ordine stabilito.  Le troviamo infatti tranquillamente esposte in un palazzo al suo centro, usufruite come sogni a occhi aperti dagli abitanti della città. E allora non si può fare a meno, infine, di notare una dissonanza con la metafora. Le immagini di Fedora sono coniugate al passato, sono possibilità infrante nel momento stesso in cui sono poste nel museo cittadino. Innocue. Ebbene, in nessun caso questo spazio vuole essere una galleria dei rimpianti o un diario delle occasioni perse. Al contrario: esso è votato alla ricerca, presente a sé stessa, di un’alternativa vivente e attuale; dunque si coniuga al futuro. Ogni contributo qui pubblicato, nel suo piccolo, proverà a essere un indizio, un’indicazione o un suggerimento di almeno un tratto di questa alternativa. Oppure, con un gesto inverso che è però il medesimo, una critica di un qualcosa di quel finto mondo di ovvietà date che la cela malevolmente.

L’invito che si fa al lettore non può che essere, dunque, esattamente lo stesso con cui si conclude il rapporto su Fedora che Marco Polo porge al Gran Re. L’invito, cioè, a riconoscere un presumere originario nascosto dietro quel che si presenta con la perentorietà dell’effettuale, e quindi a rifiutare la falsa cauzione della necessità. Facendo, tale riconoscimento e rifiuto, tutt’uno con l’aprirsi finalmente alla realtà dell’alternativa:

… Nella mappa del tuo impero, o grande Khan, devono trovar posto sia la grande Fedora di pietra sia le piccole Fedore nelle sfere di vetro. Non perché tutte ugualmente reali, ma perché tutte solo presunte. L’una racchiude ciò che è accettato come necessario mentre non lo è ancora; le altre ciò che è immaginato come possibile e un minuto dopo non lo è più. (I. Calvino, Le città e il desiderio. 4, in Le città invisibili).