Mai sposarti ma fai tagli ai nastri

delle intercettazioni per i grandi appalti

e se capita che un giorno starai male male

vedrai leccaculo al tuo capezzale,

darai una buona parola per farli entrare

nel tuo paradiso fiscale.

(Caparezza feat Alborosie, Legalize The Premier, 2011)

Qualcuno se lo augurava da tempo, qualcun altro sperava che fosse immortale (nonostante fosse stato dichiarato malato ormai da mesi). Non sono i pareri personali a doverci interessare ma la situazione sconcertante che stiamo vivendo: è morto un ex Presidente del Consiglio italiano plurindagato ma si parla quasi esclusivamente del grande uomo che era Silvio Berlusconi. 

Non siamo qui per polemizzare in modo sterile né tantomeno per analizzare le singole questioni che sono già emerse sui diversi canali mediatici – come la legittimità del lutto nazionale (cosa spera di dimostrare il Governo Meloni?)  o la pertinenza delle prime pagine dei giornali, esteri compresi – ma per guardare in faccia i fatti – ripeto, sconcertanti – che ci riporta a una serie di riflessioni sul recente passato e sul presente odierno. Proviamo allora a riavvolgere il nastro, sottolineando alcune problematiche socio-politiche più ampie che questo accaduto ha fatto emergere. 

1) L’oblio della storia

( Leggi anche: Novecento secolo obliato)

Facevo il liceo quando scendevamo in piazza contro il governo Berlusconi e la sua riforma della scuola – Moratti prima e  Gelmini poi (con Tremonti complice). Eravamo arrabbiati per gli 8 miliardi di tagli inflitti alla scuola e le politiche di austerity: sarebbero state le nuove generazioni a pagarne lo scotto. Erano gli anni del IV Governo Berlusconi, quello del lodo Alfano, del legittimo impedimento , degli scandali sessuali e di un’altra serie di indecenze che quell’amministrazione aveva compiuto. Italiani, gente smemorata. Davvero resta così poco di impresso nelle nostre menti della storia di quegli anni? Personalmente ricordo molte cose, e con distinta chiarezza, nonostante sia passato molto tempo. Ricordo bene gli slogan, le lettere aperte, le canzoni (CAPAREZZA feat. ALBOROSIE – Legalize the premier; Banda Bassotti – Una Storia Italiana), le manifestazioni e l’indignazione non solo tra chi votava più a sinistra. Ricordo anche un particolare curioso: nessuno ammetteva di aver votato Silvio Berlusconi. Non riesco a darne motivazione, probabilmente ci si vergognava sempre più del Premier man mano che venivano fuori gli scandali e Travaglio urlava in TV. Poco importava. Il risultato era lo stesso: dai bar alle università nessuno si schierava eppure qualcuno l’aveva votato. Negli ultimi due giorni quel mistero si è fatto icona, Santo, martire ed eroe, amato da tutti.

2) L’esaltazione dell’ imprenditorialità

Ricordo che proprio dagli anni Novanta, periodo dell’ascesa berlusconiana, si è fatta strada sempre più la retorica dell’imprenditorialità che contraddistingue ancora il nostro presente. Berlusconi era sceso in campo presentandosi come un capace imprenditore pronto a far fruttare le sue competenze e conoscenze per la causa pubblica, cosa che è sfociata nel più grande conflitto di interessi di tutti i tempi. Partito-azienda, retorica manageriale, liberalizzazione e privatizzazione ben studiate e controllate: furono queste le forze del suo modello politico. Specie noi giovani, con la complicità del modello americano, abbiamo introiettato l’idea di diventare “imprenditori di noi stessi” per poi ritrovarci, nella maggior parte dei casi, precari, autonomi e flessibili, con partita IVA, senza ferie né permessi e con assicurazioni private al posto della previdenza sociale. Un po’ diverso dal luccicante scenario del “da grande sarò un imprenditore”: non era tutto oro quel che Silvio mostrava. Pensare che eravamo spinti da una serie di mantra di cui lui era stato il primo portavoce in Italia: “si può partire da zero”, “io ho la fiducia incorporata” e le varie ed eventuali formule per ottenere il successo. Rigorosamente sempre al maschile: le donne al massimo dovevano trovare “l’imprenditore da sposare”. L’uomo che era sceso in campo parlando di libertà tout court portava in politica il liberismo più spinto e impertinente, quello che non guarda in faccia nessuno, basta fare profitto e divertirsi ai party.

Berlusconi entrava in politica da paladino delle libertà e costruiva l’ideologia liberista, consumistica e mediatica, per il bel paese. L’esempio più emblematico arrivava direttamente nelle nostre case: dall’attacco alla tv nazionale (a favore delle televisioni libere) ad una nuova televisione di Stato che, per dirla alla Gramsci, divenne ben presto egemonica. 

3)L’eroicizzazione della personalità post mortem

Possono esserci diverse letture della figura di Silvio Berlusconi? Per alcuni non è stato solo un imprenditore e un politico, ma ha sconfitto il comunismo italiano, ha intrattenuto il suo popolo in tv con giubilo, ha inventato il marketing pubblicitario, ha reso il Milan un Dream Team, Milano un top club, e l’elenco potrebbe continuare imperterrito fino ad affermazioni assurde quali l’aver salvato l’Italia dalla crisi economica o il mondo da numerose guerre grazie alle sue doti diplomatiche e strategiche in termini di geopolitica. La verità è che ha vinto alcune elezioni contro la sinistra, ha investito grossi capitali nella televisione impoverendola culturalmente, ha utilizzato la pubblicità a suo vantaggio, ha investito cospicui capitali nello sport più seguito in Italia (quando non li ha spesi per pagare ai giocatori le prostitute) e nella città più festaiola e alla moda, ha governato un paese senza fare alcun miracolo economico e, internazionalmente parlando, si è fatto amico statisti e dittatori. Nel primo caso, il tentativo è quello di eroicizzare una figura, ingigantendo e positivizzando tutto, nel secondo caso, invece, vengono rilevate delle problematicità supportate da fatti storicamente accaduti, rendendo il quadro molto più complesso dell’insopportabile “quando c’era lui”. Allora mi chiedo, per quale motivo alla morte di qualcuno tendiamo ad eroicizzarlo e a rendere la sua immagine positiva a tutti i costi ? Sarà paura di morire? O ancora, paura che qualcuno parli male di noi al nostro funerale, tanto da dover parlare bene degli altri? 

(Leggi anche: La morte: un tabu del nostro secolo)

4) La minimizzazione della verità

Per contro, quando si parla di episodi negativi, o addirittura, come in questo caso, di legalità, la verità viene minimizzata, nascosta, taciuta e/o messa in forte dubbio. Eppure basta tornare indietro nel tempo, leggere, ascoltare e analizzare, cercando di rispolverare articoli, testimonianze, indagini, sentenze e procedimenti giudiziari. Berlusconi è morto con una trentina di processi alle spalle, di cui quattro erano ancora in corso. Le carte dei magistrati parlavano di mafia, corruzione, prostituzione minorile, falso in bilancio, concorso in strage, concussione, abuso d’ufficio, diffamazione aggravata ma venne condannato soltanto per frode fiscale nel caso Mediaset. Da Presidente del Consiglio e da leader del primo partito d’Italia, fece gesti, pronunciò frasi e fu coinvolto in scandali che a dimenticarli, pensavo, ce ne vorrà. Ci sono innumerevoli fonti, tracce scritte e registrate. Si tratta anche di episodi che hanno a che fare con omofobia e sessismo, un retaggio che i movimenti femministi, transfemministi e LGBTQIA+ da anni stanno cercando di abbattere ma che è duro a morire dopo quattro governi, giornali, televisioni, cinema e chi più ne ha ne metta.

5)La banalizzazione della realtà

Ciò che impoverisce i discorsi e i ragionamenti sulla realtà è spesso una semplificazione così arida e priva di contenuti da finire per diventare una vera e propria banalizzazione.  È quello che è successo negli ultimi giorni: per codardia, vergogna, paura, negligenza e facilità si finisce per raccontare una realtà parziale se non addirittura finta. Mi metto ora nei panni dei miei studenti, dei giovani di oggi: non hanno vissuto alcun Governo Berlusconi al contrario di me, a malapena l’hanno visto nelle consultazioni di quello attuale e certamente su Tik Tok. Non conoscono il personaggio, la sua storia e la sua politica. Ne hanno visto soltanto la discesa e la malattia.  Oggi al telegiornale vedono un uomo osannato dai funerali di Stato e dall’osservanza del Lutto nazionale, quello che per intenderci viene dichiarato per la morte dei Papi, per le vittime di mafia e di calamità naturale. Insisto, che cosa penseranno allora i miei studenti? 

Dal canto mio, al di là del caso Berlusconi, vorrei soltanto che imparassimo a guardare alla complessità di un avvenimento, problematizzandolo e andando a scavare, nella storia e nelle testimonianze, ciò che di vero e di ingarbugliato c’è, senza accontentarci della banalità e della semplificazione di chi ci vuole tutti un po’ più addomesticati.

Il giornalismo, ancora una volta, si inserisce in questo discorso. Non vogliamo opinionismo, ma informazioni. E quando queste non mancano, vogliamo letture critiche che ci insegnino a leggere, valutare e ponderare. Non abbiamo bisogno di pareri, ci servono i fatti e gli strumenti per poterli analizzare.

(Leggi anche: Si può fare ancora giornalismo in modo serio?)