Carlo Fuortes si dimette dalla carica di amministratore delegato Rai per “mancanza di condizioni”, alludendo agli sforzi titanici (decreto legge compreso) che il governo Meloni ha messo in atto per sollevarlo dall’incarico Rai e sostituirlo con qualcuno più affine alla maggioranza. Quel qualcuno è Roberto Sergio, scelto con un passaparola che parte dal governo, passa all’assemblea degli azionisti e arriva al consiglio di amministrazione. Questo perturbamento ai piani alti Rai ha provocato un effetto domino che ha portato alla caduta di Fabio Fazio, Luciana Littizzetto, Lucia Annunziata – si vocifera anche una destituzione di Amadeus dal ruolo di direttore artistico di Sanremo 2024 – e altri tasselli. Non si risparmiano nemmeno i programmi già prodotti, come quello condotto da Alba Parietti e intitolato “Non sono una signora”, che forse non vedrà mai la messa in onda visto il tema dello spettacolo – il mondo Drag – poco affine ai gusti dei nuovi vertici Rai.

Nulla di nuovo sotto il fronte dello Spoil system, introdotto in Italia nel 1997 con la riforma Bassanini e che sostanzialmente permette ad un nuovo governo di cambiare alcuni funzionari pubblici con figure più vicine alla propria linea politica. Anche la Rai è stata travolta da queste “pulizie di primavera” e gli interessi aziendali, le istanze culturali e la politica si sono scontrati ancora una volta. Al di fuori delle critiche mosse all’amministrazione Rai per aver congedato due figure storiche della televisione pubblica come Fazio e Annunziata – martirizzazione che non è stata risparmiata dalle critiche del giornalismo di sinistra, aprendo uno scenario molto più complesso di quello proposto nelle ultime settimane –, la scelta di accompagnare alla porta uno dei conduttori più remunerativi è stata definita controproducente verso l’azienda stessa.
Perché la Rai è una società pubblica le cui quote di maggioranza appartengono al ministero dell’Economia e delle Finanze, mentre l’azionista di minoranza è la Società Italiana degli Autori ed Editori (SIAE). I guadagni della società vengono per i due terzi dal canone messo in bolletta – e come ha ricordato Carlo Verdelli direttore di Oggi proprio nel salotto di Fazio, questo rende i cittadini italiani i legittimi proprietari della Rai perché rappresentano la maggioranza aziendale –, mentre il resto dei guadagni viene dalle pubblicità.
Il programma di Fazio era tra i più visti con uno share dell’11,8% e tra i più fruttuosi per la Rai, oltre a godere di un valore simbolico riconosciuto internazionalmente. Basti pensare alla lista degli ospiti che un giornalista e conduttore come Fazio ha portato in Rai, e che conta nomi come il Papa, Obama e Gorbačëv. Le ragioni di questo autogol, come è stato definito, hanno motivi politici più forti di quelli economici – ironia: uno dei rari casi in cui l’ideologia è più forte del capitale.
Ci siamo fermati a commentare la vicenda di Fazio ma avremmo potuto fare altrettanto con il caso Levi-Rovelli o con la contestazione alla ministra della famiglia Roccella durante il Salone del Libro di Torino. A ben vedere è solo la punta dell’iceberg di un problema strutturale che riguarda il rapporto tra politica e informazione, informazione e spettacolo.

Guy Debord – come altri filosofi che hanno riflettuto sugli sviluppi del sistema capitalistico – nel suo lavoro La società dello spettacolo del 1967 individuò nello spettacolo la visione oggettiva del mondo, non una parte del tutto ma la forma (in cui si incarnano fine e mezzo) che il modo di produzione capitalistico ha assunto: “lo spettacolo non è niente altro che il senso della pratica totale di una formazione economico-sociale, del suo impiego del tempo. È il momento storico che ci contiene”.(1) Se lo spettacolo è l’affermazione di un modello produttivo e sociale, è l’insieme delle sue forme particolari a rinnovarlo: informazione, pubblicità, propaganda e intrattenimento. A fare da sfondo alle riflessioni di Debord c’è un grande tema del marxismo: il principio di feticizzazione – che per il filosofo francese si realizza compiutamente nella forma dello spettacolo. Ancora così attuale quel passo in cui Marx scriveva “la merce entra in scena”. E quale sfondo migliore per esibirsi se non lo spettacolo-mondo? I veri attori sul palcoscenico sono le merci, Debord le vedeva prendere il posto delle relazioni sociali tra gli uomini, frapporsi tra il lavoratore e il lavoro stesso.
Gli effetti di questo processo di trasformazione all’interno del sistema capitalistico sono esattamente come il mondo della merce: visibile e invisibile. Visibile perché si mostra nella materialità del quotidiano – il fenomeno di interconnessione, globalizzazione e unione che esperiamo nella comunicazione, e non solo, di ogni giorno –, invisibile perché occulta la sua stessa natura, quella di una individualizzazione spietata che si traduce in una parcellizzazione della società. Il paradosso che viviamo quando andiamo al cinema, quando usiamo i social, e nelle infinite videochiamate fatte durante l’emergenza covid: essere connessi ma isolati. Nella società dello spettacolo l’informazione svolge un ruolo di intrattenimento, ossia la forma che i canali dell’informazione pubblica mainstream veste. In parte abbiamo cercato di suscitare questa sensazione con la sequenza di notizie riportati ad inizio articolo; orientarsi in questo panorama non è facile, anzi, spesso la sensazione di sopraffazione rispetto al bombardamento mediatico porta a sviluppare un senso di apatia e asetticità verso il mondo esterno.

Sapersi muovere all’interno del campo dell’informazione è diventato sempre più difficile, servono strumenti di lettura critici e senso dell’orientamento politico – quasi un lavoro a tempo pieno. Non disperiamo però, esistono anche delle piccole realtà che hanno reso i principi dello slow journalism e dell’informazione di qualità i loro tratti distintivi. Oggi vorremmo chiudere con una nota positiva e parlarvi di loro.
In Italia sono diversi i progetti indipendenti che hanno puntato alla cura dell’informazione, servendosi di reportage, inchieste e divulgazione che non seguono i ritmi dell’ultima notizia; spesso sono autofinanziati o finanziati da una rete di lettori che li sostiene. Pensiamo a Slow News, la Revue Dessinée, Ottolina TV e Factanza, per citarne alcuni.
Noi di Fedora abbiamo avuto la possibilità di conoscere la redazione della Revue Dessinée in alcune occasioni, come quella del Salone del Libro. Ma di cosa si tratta? La Revue Dessinée è una rivista indipendente che unisce il giornalismo al medium dei fumetti. L’idea nasce in Francia, dove la tradizione del fumetto è ben radicata, e grazie a Massimo Colella, Andrea Coccia, Lorenzo Palloni e Alessio Ravazzani – fondatori azionisti – arriva anche in Italia. La rivista trimestrale propone inchieste e reportages scritti da giornalisti e giornaliste e illustrate da fumettisti e fumettiste, non c’è una sola pubblicità in più di duecento pagine il che gli permette di poter trattare qualsiasi argomento (nel n° 4 uscito questa primavera ci sono servizi sull’autismo, gli allevamenti intensivi e l’aborto, per citarne alcuni). Ma l’aspetto più sconcertante è che la redazione paga un compenso adeguato alle persone che lavorano sugli articoli – vedere un’equa retribuzione del lavoro è raro quanto le apparizioni di Loch Ness. Come fanno? In un incontro a Pisa al Circolo Alberone, Lorenzo Palloni ci ha spiegato che per garantire un compenso equo, per affrontare le spese di produzione e di distribuzione, la redazione non prende compenso, per ora non ci sono le condizioni ma noi ci auguriamo che diventino presto realtà. Questo approccio ci fa ben sperare che forme di produzione che antepongono le relazioni sociali e lavorative al profitto siano ancora possibili.

L’altra realtà che vogliamo citare in conclusione è Ottolina TV. Creata da Giuliano Marrucci, giornalista pubblicista che dopo dieci anni di lavoro in Rai per Report ha deciso di investire la propria esperienza e il proprio tempo in un progetto di informazione indipendente. Presente su diverse piattaforme, Ottolina TV è cresciuta nel tempo grazie alla campagna di raccolta fondi, che le ha permesso di allargare la redazione, aprire nuovi format (come Ottosofia in collaborazione con la Gazzetta Filosofica) e invitare ospiti nel format domenicale LA BOLLA. Incentrata su temi di politica, economia e geopolitica, Ottolina TV offre sempre una riflessione stratificata, complessa (come del resto è il reale) e lontana dalle posizioni del giornalismo di propaganda. Tutte queste realtà indipendenti continuano ad esistere soprattutto grazie all’attività di crowdfunding, all’impegno dei singoli che l’hanno creata e a noi che scegliamo di sostenerle. Un circolo virtuoso che da una parte ci permette di ri-avvicinarci al mondo dell’informazione passando per canali diversi, un po’ underground, e dall’altra di trovare nella forma del privato/indipendente una coesione sociale che ci è impossibile condividere nell’informazione pubblica mainstream.
Note
(1) G. Debord, La società dello spettacolo

Classe ’92, sono nata a Francoforte ma ho sempre vissuto in Sardegna con forti influenze napoletane da parte di padre. Cresciuta nella campagna sassarese quieta ma areste, fra ulivi, animali da fattoria e la bottega di presepi di mio padre. Ingenuamente, ho iniziato a studiare filosofia in cerca di risposte, imparando col tempo l’importanza di saper formulare le domande. Interessi di studio vari mi hanno portato a studiare e scrivere su Spinoza, Bergson, Deleuze e tematiche legate alla corporeità e sessualità moderna. Amante della letteratura sudamericana e francese, oscillo con poca coerenza tra il cinema d’autore e prodotti della cultura di massa trash, con una inspiegabile predilezione per i film sugli squali. Lettrice accanitissima di fumetti, troverò pace solo quando leggerò la fine di Berserk.