Di nuovo in piazza: era ora!
Giovedì 16 Dicembre 2021: sciopero generale in tutta Italia. Sabato 26 Marzo 2022: manifestazione della GKN a Firenze.
Che cosa hanno in comune questi due episodi?
Naturalmente, molto: sono state entrambe manifestazioni con un grande successo di piazza, entrambe sono partite da dei lavoratori che reclamavano i loro diritti, in entrambe spiccavano belli e chiari i simboli storici della sinistra. A mio avviso, però, nessuno di questi è l’aspetto più importante. Il punto fondamentale è invece un altro: il popolo della sinistra si è ritrovato.
Quelle due piazze erano meravigliosamente convergenti : precari, lavoratori, universitari, pensionati, giovanissimi, ambientalisti, metalmeccanici. Questa convergenza non è un elemento da trascurare, e non solo perché gli anni della pandemia hanno messo in uno stand-by forzato gli eventi di piazza o perché il dibattito pubblico viene in questi mesi costretto entro canali sempre più polarizzati dalla retorica di guerra.
No, il punto è che viviamo in una società permeata a tutti i livelli da logiche atomistiche e ultra-competitive. Si tratta di logiche distruttive tanto sul piano sociale quanto su quello internazionale ma che purtroppo avvelenano ogni giorno anche le lotte della sinistra.
Quando un gruppo sociale vede le proteste di un altro gruppo, per quanto possa condividerne le istanze, viene colto dalla tentazione di considerare le ragioni degli altri come alternative alle proprie, come se un successo delle prime comportasse automaticamente un fallimento delle seconde. Un esempio emblematico di questa logica dicotomica è la falsa antinomia tra ambiente e posti di lavoro.
A questa logica bisogna resistere. Quando i lavoratori vengono messi gli uni contro gli altri, quando li si porta a vedere le loro diverse rivendicazioni come mutuamente escludentisi, i lavoratori hanno già perso. Divide et impera.

Lavoratori sive sindacato
Per questo motivo, il ritrovarsi compatto menzionato sopra rappresenta la conquista più importante delle due manifestazioni. Che cosa ha reso possibile questa piccola grande rinascita? È stato il lavoro. O meglio, i lavoratori.
Dopo decenni in cui la (presunta) sinistra parlamentare è stata impegnata a distogliere lo sguardo dai bisogni della sua storica base elettorale – quando non è stata lei stessa l’artefice degli assalti più feroci nei confronti di questa base – il riaccendersi delle lotte dei lavoratori sembra davvero una ventata d’aria fresca. Queste lotte non sono mai state realmente sopite, ma ricevono oggi nuova linfa vitale grazie ad una congiuntura storico-politica certamente complessa, ma anche molto dinamica.
Tuttavia, le lotte dei lavoratori non esistono se questi ultimi sono separati, divisi e poco coordinati. Queste lotte non esistono senza un’organizzazione, e un’organizzazione di lavoratori che si riuniscono per difendere i propri diritti è, comunque la si voglia chiamare, un sindacato.
Ed ecco il secondo grande filo rosso che collega le due manifestazioni di cui parlavo all’inizio. Non solo una nuova stagione di lotta è cominciata, ma questa stagione deve ripartire innanzitutto dalle lotte sindacali. Probabilmente qualche lettore storcerà il naso di fronte a questo mio appello a ripartire dai sindacati, dai loro valori e dalle loro strutture.
È vero che i sindacati hanno subito un declino negli ultimi decenni ed è altresì vero che in molte occasioni si sarebbe dovuto fare di più. Tuttavia non riesco a vedere la coerenza di chi rimprovera le carenze dei sindacati per inferirne la necessità di abbandonarli del tutto; è un po’ come lamentarsi del fatto che la democrazia oggi non riesce adeguatamente a rappresentare le esigenze popolari per arrivare alla conclusione che occorrerebbe un dittatore. Non sequitur.
Le cose stanno esattamente al contrario: le carenze del sindacato (così come le incompiutezze della democrazia) non devono essere utilizzate per screditarli in assoluto, ma anzi per affermarne con più forza la missione sociale, come ci ricordano le recenti lotte dei lavoratori di Amazon negli Stati Uniti. [Potrebbe interessarti anche: Amazon, a New York nasce il primo sindacato dei lavoratori]
Inoltre, il punto che intendo affermare non è di tipo descrittivo – il sindacato, e in particolare come dirò tra poco la CGIL, è sempre riuscito a rappresentare le istanze dei lavoratori –, ma piuttosto normativo – il sindacato, e in particolare la CGIL, deve avere un ruolo centrale nel rappresentare quelle istanze e costituire un centro vitale per la ricostruzione di una sinistra in Italia.
Bisogna poi ammettere che, di fronte ad un sistema organizzatissimo nell’erosione dei diritti dei lavoratori, è fisiologico che il ruolo dei sindacati si sposti pericolosamente sulla difensiva. Ma è proprio il contatto diretto con il mondo del lavoro che offre ai sindacati un’opportunità unica per riorganizzarsi e non perdere il contatto con i bisogni profondi del Paese.
Si tratta di un elemento di mediazione prezioso, che è stato invece irrimediabilmente compromesso nei rapporti con i partiti politici, soprattutto in seguito allo svuotamento dei loro sistemi di presidio territoriale.
CGIL: le impressioni di un insider
Così, forte di queste riflessioni, poco dopo lo sciopero generale di Dicembre ho deciso di entrare organicamente nel sindacato. Ho scelto la CGIL.
Perché proprio la CGIL? È una domanda che mi sono posto a lungo prima di iscrivermi. Sono diverse le risposte che potrei menzionare qui, per esempio l’idea, a cui difficilmente una persona di sinistra può resistere, di un sindacato che si impegna per statuto a tutelare tutti i lavoratori, e non solo i suoi iscritti, oppure il fatto che il patrimonio storico e valoriale del “quadrato rosso” è rimasto in fondo inalterato, come dimostra, per contrasto, proprio l’assalto fascista avvenuto l’anno scorso alla storica sede romana – ve lo immaginate un attacco alla sede del PD per colpire un simbolo del socialismo italiano?
Tuttavia, a mio avviso, il vero motivo per cui la maggior parte dei lavoratori scelgono la CGIL è che questo sindacato offre ancora delle garanzie molto concrete ai lavoratori. Per quanto sia pressoché impossibile giudicare in modo uniforme una realtà così ampia e variegata come la CGIL, ho avuto modo di sperimentare da vicino come queste garanzie siano spesso il frutto di persone preparate e combattive presenti sui posti di lavoro, di un senso del dovere libero dalle logiche personalistiche e clientelari che proliferano in misura maggiore in altri sindacati, di un’organizzazione capillare che rappresenta ancora una delle migliori risorse della sinistra e che va tutelata senza cedere alle tentazioni dello scissionismo.
E in effetti, al di là di ogni motivazione razionale, devo ammettere che la prima impressione che ho avuto quando sono stato accolto nel sindacato è stato un forte senso di “calore”. È un calore che, in un periodo individualista come quello che viviamo, solo la presenza di una comunità forte e solida può fornire. E un vero sindacato è soprattutto questo: una comunità di sostegno reciproco, di formazione continua, di militanza fianco a fianco.
Certo, nonostante la CGIL sia con i suoi circa cinque milioni di iscritti il primo sindacato d’Italia, è innegabile che abbia subito degli arretramenti importanti, soprattutto al Sud. Così come sarebbe lunga la lista dei “sì, ma dov’era la CGIL quando…?”. Tuttavia, come ho detto prima, la logica di chi critica le carenze del sindacato per convincere della necessità di ancora meno sindacato è fallace. Oggi più che mai dobbiamo distinguere le critiche costruttive dagli spari sulla Croce Rossa.
Chiunque abbia la voglia di impegnarsi in prima persona e l’onestà intellettuale di guardare più da vicino si accorgerà che il sindacato vive in quasi tutte le federazioni una fase di grande riorganizzazione e ripresa.
Che fare?
Ho cominciato questo articolo con una riflessione sui possibili punti di contatto tra le due più grandi manifestazioni di lavoratori degli ultimi mesi. In realtà però l’insegnamento più grande che ho tratto da quelle manifestazioni è questo: nel nostro paese c’è una grande, fortissima, inaspettata fame di sinistra.
Sembra una constatazione scontata, ma non è così. Perché se, nonostante il distacco totale dei partiti di sinistra dalla loro base storica, il popolo della sinistra è ancora là, orfano ma non domato, vuol dire che esistono delle cause profonde che meritano una seria riflessione politica. In altre parole, se la sinistra è finita , una nuova lotta per rifare la sinistra è iniziata. Che fare allora per contribuire a questa lotta?
Ai cittadini: partecipare, partecipare, partecipare. Se siete giovani, lavoratori, neolaureati, disoccupati, precari, sfruttati o se semplicemente trovate ingiuste le politiche sul lavoro degli ultimi trent’anni, vi dico: entrate nel sindacato. Entrate nel sindacato e non vedetelo come qualcosa di estraneo, come qualcosa che vi trascende: siate voi il sindacato.
Da quello che ho detto sopra dovrebbe essere chiaro che qui intendo il sindacato nella sua accezione più profonda: non un involucro ormai vuoto e privo di vita, una reliquia del tempo che fu, ma una cosa viva, fatta di corpi e idee, fatta di lavoratori che insorgono.

Al sindacato: passare al contrattacco. È ora di fare i conti con il passato e di riconoscere dove non si è stati in grado di fare abbastanza per stabilire dove adesso è necessario fare di più. Di fronte all’acuirsi delle disuguaglianze socio-economiche è giunto il momento di smettere di giocare in difesa. Bisogna reagire e cominciare a riguadagnare terreno, anche approfittando dell’onda lunga della fase post-pandemica – per quanto, oggettivamente, la questione bellica rischi di offrire il pretesto per una severa svolta reazionaria.

Ad ogni modo, bisogna fare tesoro delle tutele difese con successo, guardando ad esse non come a sacche di privilegi residui, ma come ad avamposti per estendere queste tutele alle categorie che non le possiedono o non le hanno mai possedute: lavoratori del privato, working poors, stagisti, precari e disoccupati.
Questo significa esserci per tutti i lavoratori, esserci per tutte le categorie che a vario titolo risentono di quello sfruttamento che rappresenta l’autentica cifra del sistema capitalistico. Questo significa “fare quadrato”, rifare la sinistra. Ripartiamo da qui.

Classe ’97, di Palermo. Lettore incallito e riempitore seriale di ‘diari di viaggio’. Ottimista per necessità e idealista per indole, amo vagare nella natura tra lunghe nuotate e passeggiate senza meta. Le mille forme della vita sono ciò che più mi affascina e la domanda che mi guida è ‘qual è la vita migliore per l’uomo?’. Mi sono laureato a Pisa in filosofia e mi interesso soprattutto di etica e pensiero ecologista. Lotto per superare la dicotomia uomo-ambiente e per l’affermazione di una nuova visione del mondo in cui l’uomo abbia finalmente riconosciuto la propria posizione nel cosmo.