Vi siete mai chiesti che cos’è un’azienda e quale possa essere il suo funzionamento ottimale? Avete mai fatto delle considerazioni su quali sono i meccanismi che possono favorire il miglioramento di un’organizzazione? In che modo noi, lavorando all’interno di una società, possiamo contribuire a plasmare tale organizzazione?
Partiamo dall’inizio. E proviamo a definire, nel modo più generale possibile, il concetto di organizzazione. Un’organizzazione è, anzitutto e per lo più, una cosa complessa. È complessa perché tiene assieme diversi elementi, i quali – integrandosi e reciprocamente influenzandosi – permettono l’esistenza e la sopravvivenza dell’organizzazione stessa. Si chiama struttura, e ha a che fare con l’attivo riguardarsi e corrispondersi di cose che nella loro inter-relazione assumono una configurazione diversa e, così facendo, danno vita alla complessità.

Detto ciò, un passo interessante da poter compiere è quello di andare a distinguere le diverse tipologie organizzative storicamente determinate. Ovvero, la serie di modelli organizzativi che, via via lungo l’affascinante percorso dell’evoluzione umana, ha puntellato le società e le culture di tutto il mondo e ha innescato la nascita e lo sviluppo di concezioni, modalità e strumenti con cui abbiamo costruito il nostro rapporto col lavoro. Certo è che non tutte le organizzazioni… Riescono col buco! E lo sappiamo bene, chi più chi meno. Lo sappiamo perché spesso ci rendiamo conto che il lavoro può risultare stressante, che non ci sentiamo apprezzati per quello che facciamo, che l’ambiente dove lavoriamo è pesante, … e chi più ne ha, più ne metta.
È a partire da queste considerazioni preliminari che Frederic Laloux, business thinker ed esperto di organizzazione aziendale, apre il primo capitolo del suo bestseller, il cui titolo (nella traduzione italiana) è Reinventare le organizzazioni. Come creare organizzazioni ispirate al prossimo stadio della consapevolezza umana. Scrive Laloux:
Possiamo creare organizzazioni libere dalle patologie che fin troppo spesso si riscontrano nei luoghi di lavoro? Libere dalla politica, dalla burocrazia e dai conflitti interni; libere dallo stress e dal burnout; libere dalla rassegnazione, dal risentimento e dall’apatia; libere da gente che chiacchiera al vertice mentre quelli di sotto sgobbano in silenzio? È possibile reinventare le organizzazioni per progettare un nuovo modello che renda il lavoro produttivo, soddisfacente e ricco di significato? Possiamo creare luoghi di lavoro – scuole, ospedali, aziende e organizzazioni non-profit – che siano ricche di anima e di sentimenti, in cui i talenti possano fiorire e le nostre vocazioni possano essere onorate?
La risposta a tutti questi interrogativi è, secondo l’autore, affermativa. E lo è non solo perché in teoria tutto ciò potrebbe essere possibile, ma perché già esiste! Tutto il libro di Laloux è basato sull’analisi di una teoria di organizzazioni che sono costruite secondo un modello inedito ed innovativo che cerca di ovviare alle difficoltà e alle anomalie che caratterizzano la maggior parte delle organizzazioni che conosciamo (e in cui spesso lavoriamo). Tale paradigma intende superare quelle contraddizioni che stanno alla base delle realtà lavorative più note e diffuse, ovvero le multinazionali.
Quali sono le caratteristiche delle multinazionali? L’essere verticali e verticistiche, gerarchiche, rigidamente strutturate. Esse sono simili a delle macchine in cui è fondamentale raggiungere il massimo dei risultati (profitto) con la minor quantità di tempo, energia e risorse: l’efficienza è il valore che guida e determina lo sviluppo dell’organizzazione. A scapito del benessere personale, dei desideri del singolo, della sua realizzazione profonda. A tutto ciò Laloux oppone le organizzazioni TEAL, le quali sono essenzialmente pensate come un organismo vivente. E qual è la prima caratteristica di ogni organismo? L’evoluzione! Il paradigma TEAL è pensato come un sistema che vive e custodisce la vita, in un modo tale per cui di tale vita possa emergere tutta la bellezza e la ricchezza: la pienezza, la complessità e la consapevolezza. Un organismo che evolve e che si auto-determina a seconda delle esigenze e delle necessità.

Ma quali sono le peculiarità delle organizzazioni TEAL?
- Auto-organizzazione
- Pienezza
- Proposito evolutivo.
Laloux approda alla declinazione di questi tre punti essenziali e caratteristici del modello TEAL dopo aver attentamente studiato dodici organizzazioni sparse nel mondo e molto diverse fra loro: dalla “megaditta” con 40mila addetti che operano nel settore energetico ad una scuola berlinese, dall’industria alimentare che produce salsa di pomodoro a Patagonia, il cui brand è noto in tutto il mondo (chissà quanti lettori avranno nell’armadio un capo d’abbigliamento di quel brand!).
In generale (Laloux 2014):
Nel modello Teal, la gestione dei processi organizzativi si ispira a una struttura decentralizzata composta da piccoli team che si assumono la responsabilità della propria governance e del modo in cui interagiscono con tutti i gruppi coinvolti nel processo. Le posizioni assegnate e le descrizioni dei lavori vengono sostituite da una molteplicità di ruoli, spesso auto selezionati e fluidi. Le azioni delle persone non sono guidate dagli ordini di qualcuno nella catena di comando, ma dall’ascolto dello scopo dell’organizzazione.
L’auto-organizzazione presuppone l’abbandono dell’idea di una gerarchia basata su asimmetrie di potere e abbraccia un sistema che è fondato sulle relazioni tra pari. Per spiegare meglio in che cosa consista il concetto di auto-organizzazione, Laloux porta l’esempio di Buurtzorg, un’organizzazione olandese di assistenza infermieristica di quartiere fondata nel 2006 da Jos de Blok. In Buurtzorg gli infermieri lavorano in gruppi di una decina di persone e ogni gruppo assiste una cinquantina di pazienti in un quartiere ben delimitato. Tale gruppo si occupa di tutto ciò che serve per garantire un servizio che sia il più efficiente e completo possibile, anche svolgendo attività che prima erano in capo a dipartimenti diversi (ed esterni al gruppo stesso). Oltre ad essere responsabili dell’assistenza sanitaria, gli infermieri decidono anche quanti e quali pazienti assistere, pianificano gli appuntamenti e programmano le ferie, si occupano di amministrazione e della ricerca del loro ufficio. Decidono come agire per integrarsi con la comunità locale, quali dottori contattare, che tipo di relazioni virtuose instaurare con gli ospedali. Si distribuiscono i compiti, costruiscono i piani di formazione individuali e collettivi, monitorano i risultati, scelgono che azioni intraprendere se hanno qualche problema con il bilancio. Ora, pensate a quante altre figure esterne al gruppo sarebbero necessarie se Buurtzorg si configurasse come un’azienda tradizionale. Come minimo, ci sarebbero: responsabile delle risorse umane, project control, project manager, addetti alla contabilità, CFO, COO, manager incaricati di redigere pianificazioni e programmazioni… Con la conseguenza di: innumerevoli meeting, sovraccarico di riunioni, attriti nella comunicazione, dissidi nelle decisioni, svilimento della facoltà propositiva, e tanto altro.
I gruppi di Buurtzorg non hanno capi. Non c’è un capo che distribuisca i compiti ai suoi sottoposti: le persone del gruppo si accordano tra di loro su chi fa che cosa. Ora, è chiaro che questa configurazione potrebbe facilmente sfociare in una forma di anarchia in cui ciascuno agisce ed opera sulla base dei suoi desideri, in barba alle esigenze dei colleghi. Consapevole di ciò, l’azienda ha voluto investire in corsi di formazione e di coaching per aiutare i propri dipendenti al dialogo, al rispetto, al riconoscimento dell’altro e delle sue necessità. Così, ogni nuovo assunto impara fin da subito diverse tipologie di ascolto e diversi stili di comunicazione, come svolgere un incontro, come supportare i membri del proprio gruppo in chiave cooperativa (e non competitiva).

Per quanto concerne la seconda caratteristica delle organizzazioni TEAL, partiamo dal considerare che cosa accade nella sede di Patagonia a Ventura, in California. Qui, l’azienda ospita un Centro per lo sviluppo del bambino che accoglie i figli dei dipendenti. La vicinanza di tale struttura porta i colleghi a vedersi non soltanto come lavoratori, ma come persone che sono capaci di sentimenti di amore e di cura. Infatti, quando i colleghi hanno appena finito di giocare con un bambino durante il pranzo, è molto più difficile che poi si gettino l’uno contro l’altro in scontri verbali durante una riunione. Tutto questo può risultare strano e addirittura assurdo, ed è comprensibile: siamo stati abituati a separare nettamente quel che ha a che fare con il nostro lavoro e le nostre performance professionali da ciò che, invece, pertiene alla sfera della famiglia, dell’affetto e dei sentimenti. Il principio della pienezza sancisce la possibilità, nelle organizzazioni che lo adottano, di un recuperò dell’integrità della persona in tutte le sue sfumature e sfaccettature, la capacità di una manifestazione totale della ricchezza dell’anima di ciascuno. Chi lo sperimenta non è solo un operaio o un manager, un capufficio o un assistente. È questo e molto altro, e le organizzazioni TEAL promuovono l’accoglimento e il rispetto di quelle parti dell’anima che spesso non mostriamo per paura di essere deboli. Ma, a pensarci bene, quando noi ci comportiamo così (nascondendo e fingendo) – quanto non siamo noi stessi? La pienezza permette la condivisione della nostra personalità più profonda, i nostri talenti, i nostri desideri e le nostre preoccupazioni. Le organizzazioni TEAL creano un ambiente in cui le persone si supportano a vicenda perché non hanno bisogno di maschere e sovrastrutture – esse sono se stesse nella libertà con cui possono lavorare per un obiettivo comune.Infine, che ne è dello scopo evolutivo? Esso è il frutto di profonde riflessioni individuali e collettive sul senso dell’organizzazione per cui si lavora e sulle modalità con cui ciascuno può contribuire all’evoluzione organizzativa. Ci si chiede: qual è la mia vocazione? Che cosa vala la pena, veramente, realizzare? La risposta a queste domande non diventa solo uno slogan inserito su una targhetta all’ingresso dell’ufficio o al termine del report annuale. Il proposito evolutivo è la guida, la bussola che orienta tutte le decisioni (individuali e collettive), un’energia che permea l’intera organizzazione e che la direziona. Lo scopo evolutivo di un’organizzazione TEAL ambisce alla più alta concretizzazione della mission aziendale e alla ricerca di un posizionamento strategico (nella comunità e nel mercato in cui si opera), in un modo che superi il meccanismo competitivo della concorrenza. Scrive Laloux (Laloux 2014):
le organizzazioni sono viste come un campo energetico indipendente con uno scopo che trascende i suoi stakeholder. In questo paradigma, non possediamo né gestiamo l’organizzazione; invece siamo amministratori, ascoltiamo dove deve andare e lo aiutiamo a fare il suo lavoro nel mondo. Il potenziale creativo più profondo per dare vita a qualcosa di nuovo, per contribuire con qualcosa di energico e prezioso al mondo. È un impulso, un potenziale creativo.
Abbiamo visto quali sono i tratti principali delle organizzazioni TEAL, fornendo una sintesi teorica che fosse supportata da casi concreti, a dimostrazione del fatto che già esistono nel mondo realtà organizzative innovative in cui non domina la logica del profitto, ma l’etica della responsabilità e la valorizzazione delle persone. È per questo che intimamente crediamo che le organizzazioni TEAL costituiscano un ottimo esempio di come l’alternativa ad un sistema socio-economico corrotto e viziato – quello del regime capitalistico padronale, avido, sfruttatore – sia possibile. E se ciascuno di noi provasse ad introdurre, nelle realtà in cui lavora, qualche piccola grande pratica in senso TEAL?

Classe ‘96. Vivo e sopravvivo a San Daniele del Friuli, dove m’intrattengo a sbevazzare quei vini autoctoni che nascono rugiadosi nelle campagne di cui mi circondo e di cui ammiro e rimiro la dolcezza dei profili, che canto in discutibili tentativi poetici. Mi sono appassionato di Filosofia al liceo, investito della bellezza insostituibile di una pagina del “Caligola” di Camus: da quel giorno, in cuor mio ho compreso che non avrei mai più potuto sottrarmi alla sua invincibile seduzione. Ho studiato tra Verona e Pisa, leggo tutto quel che posso ogni volta che posso, conosco volti e cuori di persone fantastiche di cui non posso più fare a meno. La mia ricerca è eccentrica: passo dall’ontologia platonica alla fenomenologia di Heidegger, dalla teoresi di Severino al tema del desiderio, dalla questione della rappresentazione a quella della corporeità. No, tutto ciò che è “sistema” non fa per me.