Non bisogna credere per forza ai fantasmi per capire che Internet sia un luogo infestato. 

Siamo abituati ormai, la nostra esperienza quotidiana sul web è un’interazione continua con profili, avatar e pseudonimi. Per non parlare delle presenze che lasciamo online: acquisti, liste dei desideri su Amazon, cronologie

Navighiamo in solitudine, circondati da immagini che sostituiscono persone e relazioni. Questi sono i fantasmi del ventunesimo secolo, scorporati grazie al digitale da un supporto e lasciati liberi per il cyberspazio alla velocità della luce.

Al crocevia di una cultura “infestata” ecco la Vaporwave, una nicchia artistica e musicale nata da Internet che divide critici e ascoltatori per via della sua estetica eccentrica e i metodi di produzione da home-studio. 

Emersa nel 2010, in pochi anni il fenomeno è cresciuto con rapidità, scatenando un dibattito online. Ignorata dalla stampa più blasonata, la Vaporwave vive su realtà online come Bandcamp, SoundCloud e Reddit, e raduna una comunità di artisti, musicisti, dj e ascoltatori accomunati da un sound nostalgico, yuppie, stravagante. Prepotentemente digitale.

A prescindere se risulti o meno stucchevole, la Vaporwave forse è qualcosa di più di una fabbrica di meme, o di un covo di esteti annoiati con il MacBook. Quello che è interessante riguarda la sua relazione con le immagini e i suoni del tardo capitalismo. 

Ne è convinto anche Grafton Tanner, che nel suo saggio cerca di leggere il fenomeno come un prodotto di una cultura, quella occidentale tardocapitalista, caratterizzata dalla nostalgia e dall’incapacità di immaginare un futuro. 

Oggetti stregati, che sfuggono al controllo

Il martello cade e si rompe: un momento prima sappiamo a cosa serve, all’improvviso diventa un oggetto inutilizzabile. Il segnale radio si interrompe in una cascata di rumore bianco: sembra che la radio agisca per conto proprio. Il suo “essere-qualcosa-per”, come direbbe Heidegger, che ha nel ‘per’ l’essenza della strumentalità umana, si esaurisce.

Il malfunzionamento di un dispositivo elettronico, il glitch, ci getta in uno stato di frustrazione. Realizziamo che qualcosa non va. Le nostre aspettative sono interrotte.

Questa musica parla del nostro rapporto con gli strumenti, non solo quelli musicali, con le cose. Nel rompersi o nell’inter-rompersi l’oggetto diventa insignificante e maledetto. 

Come entità possedute, i media elettronici difettosi sembrano capaci di operare in libertà, con la minima interazione umana coinvolta. Non è solo una scelta estetica: il glitch incarna la paura concreta di un’autonomia della macchina (tema affrontato dai recenti dibattiti sull’etica dell’IA).

Questa musica rappresenta il glitch attraverso l’uso di effetti audio, come la distorsione, la compressione, e la ripetizione di loop.

La ripetizione è un altro carattere fondamentale, il loop di un frammento audio. Le tracce vapor si concentrano su un frammento sonoro, ripetuto per l’intera durata della traccia. L’effetto è assurdo, ironico e snervante. 

Gli strumenti utilizzati per creare questa musica sono le DAW, Digital Audio Workstation, quei software che consentono di campionare in pochi click qualsiasi suono esistente e di produrre musica sul notebook. Il campionamento digitale come metodo creativo ha creato non pochi problemi legali, mettendo a nudo l’impossibilità di risalire ad un primum originale e ridicolizzando la pretesa di una proprietà esclusiva sui materiali musicali.

Questa tecnologia, che consente di frammentare e di ripetere ad libitum l’informazione sonora, accentua il carattere ectoplasmatico del genere. La musica del passato viene riesumata dai producer tombaroli, sonorità dimenticate rivivono in infiniti modi diversi. 

Non che un tempo non si campionasse: prima i campioni sonori venivano realizzati grazie a mezzi analogici. Con il digitale la musica diventa liquida, un’onda continua che scorre dalla creazione alla distribuzione. La musica diventa una fornitura, un’utenza, come l’acqua che arriva nelle case (si pensi al modello Spotify).

Lo stadio finale è quello della vaporizzazione, il passaggio da uno stato liquido ad uno stato aeriforme. 

Da una musica come cosa, oggetto estetico, ad un flusso digitale di streaming capace di scorrere dentro ogni dispositivo, la musica si trasforma in una nuvola informe, dissolvendosi nell’ambiente quotidiano.

Diventa l’aria che respiriamo. E non ne possiamo fare a meno.

La fine dell’autore? No, la fine dell’Umano

L’anonimato è parte dell’esperienza di ascolto della Vaporwave, ed è alienante, specie in un momento storico dove niente e nessuno può esistere senza uno storytelling costruito alle spalle.

C’è in questo qualcosa insieme di postumo e post-umano. Viene da pensare ad una tradizione recente della filosofia che decentra l’uomo come condizione di possibilità dell’esperienza, quella che Graham Harman definisce una “filosofia orientata agli oggetti”. 

Difficile immaginare un futuro quando viviamo in un contesto (a)storico teso al costante annullamento tra il dopo e l’adesso, con ogni oggetto disponibile a portata di click. Né ci sarà de facto alcun futuro se la nostra devastazione del pianeta proseguirà indisturbata

Insomma, siamo noi il problema. 

Questa corrente di pensiero svaluta la componente umana, e abbraccia la prospettiva di un mondo alieno senza persone. Siamo ridotti a cose, in una realtà in cui le cose materiali già non esistono più.

Internet ha una straordinaria capacità di de-materializzare, de-contestualizzare e anche de-umanizzare. È quel luogo magico dove è possibile “leggere news sulla guerra e guardare pornografia giapponese”, ricorda Tanner: qui l’informazione giace accanto all’istinto e alla mitologia. E con l’IoT sfere ibride online-offline penetrano negli oggetti e nei sistemi che compongono il mondo materiale.

La Vaporwave potrebbe essere la musica di una realtà fatta di pure cose: elettrodomestici, sensori, mezzi di trasporto. Strumenti progettati dall’uomo. 

Ma senza l’uomo.

Viviamo alla fine degli anni ’80

Metropoli sconfinate, auto con gli alettoni in corsa verso l’orizzonte infinito, la realtà ridotta a una griglia geometrica. Una foto slavata di palme contro il sole calante della Florida. 

Possiamo non essere mai stati in questi luoghi, né aver fatto esperienze simili. Probabilmente siamo stati al mare al tramonto, abbiamo visto qualche film americano ambientato in Florida.

L’effetto è quello di trovarsi in qualche momento lontano (quando?), in un qualche caldo luogo esotico (dove?), che ci sembra di conoscere, ma anche no. 

La nostalgia di un viaggio che non abbiamo mai fatto.

L’iconografia vapor evoca dimensioni fuori dal tempo e dallo spazio, di cui abbiamo avuto esperienza solo indiretta, nei film o nei videogiochi. E questa forma di viaggio-visione diventa concreta grazie all’incontro con un immaginario.

La Vaporwave è una musica immaginario, capace di riprodursi in infiniti sottogeneri: abbiamo la ‘Casinowave’, che utilizza le immagini e i suoni del Casinò, e anche la ‘VHS-wave’, che riporta l’ascoltatore al tempo dei media analogici. Fino alle parodie su Youtube, come la ‘Salviniwave’, con l’ex Ministro dell’Interno che elenca per due ore “cose lo-fi”.

È il trionfo della forma, del bello in quanto illusione. Ma è anche il collante dei non-luoghi che attraversiamo ogni giorno.

Aeroporti e centri commerciali sono pezzi di mondo che somigliano a sé stessi nelle diverse città. Non è un caso che il Mall sia il simbolo più utilizzato dai produttori Vaporwave: è un tempio sacro, la condizione di possibilità di questa musica. 

I suoni rilassanti degli ascensori e delle pubblicità, progettati per sostenere i prosaici ma necessari atti del consumo, vengono riportati sotto la percezione. La Vaporwave trae linfa dalla musica da sottofondo, libera dall’ascolto diretto e dall’attenzione.

È la musica dei non-luoghi, dei non-tempi, perché rappresenta lo stravolgimento del tempo e dello spazio generato dalla società globalizzata.

Nostalgia a buon mercato 

Dagli inizi del Nuovo Millennio sia la musica sperimentale che quella pop ha saccheggiato il passato recente per realizzare musica dal sapore retrò. Film e audiovisivi sono stati oggetto di remake e reboot, e la musica pop ha iniziato la sua adorazione degli anni Ottanta. 

Sembra quasi che più la cultura occidentale si muova in avanti, più le sue manifestazioni iconografiche e musicali siano rivolte con lo sguardo al passato.

“It feels like I’ve been silent running / Through the infinite pages, I’ve scrolled out / Searching for a new world”, canta Damon Albarn dei Gorillaz in Silent Running.

È nell’aria una “melancholia digitale”, quel sentimento malinconico-nostalgico di non sentirsi mai pienamente completi, di non raggiungere mai la fine del flusso di informazioni, di non stare al passo con i tempi dei media e della società. 

Questo senso di desiderio e solitudine non è legato solo al proprio vissuto individuale, ma è uno di quei “sintomi della normalità” che la musica cerca di sfogare, una sensazione connessa al rapporto controverso che abbiamo collettivamente con il passato.

La crisi di un senso della storia viene teorizzata dagli studiosi del postmoderno, come Jameson e Hutcheon, nelle loro analisi sui film postmoderni. 

Ne è un esempio Star Wars, un film che richiama immagini appartenenti ad un linguaggio mediatico vintage, suscitando un senso di lontananza rispetto al presente. Questi film nostalgici danno l’impressione di un passato distante, inconoscibile, costruito attraverso immagini e stereotipi pop sul passato. 

Un altro pensatore che ha lavorato su questi temi è Derrida

Ispirato dai lavori di Husserl e Bergson, Derrida sottolinea invece come tutte le concezioni passate del futuro, le grandi narrazioni, abbiano fallito, causando una distruzione del tempo come sequenza ordinata di passato, presente e futuro.

Così il desiderio di fuga dal tempo acquista una sua fisicità. Diventa ingombrante.

Uno spettro si aggira per l’Occidente

Nella casa dei fantasmi ci aspetteremmo di sentire grida sinistre, inquietanti rumori metallici, non certo la sigla di avvio di Super Mario 64 o altri jingle che hanno segnato la nostra infanzia.

La Vaporwave fa da colonna sonora alla società dei consumi smart, una cultura conservatrice, imbevuta da un bisogno di fuga verso una dimensione fantastica, verso un’infanzia mitizzata: non è casuale l’enorme popolarità di storie e prodotti di finzione basati sulla magia, sul soprannaturale, sulla fantascienza, sui supereroi.

Ciò che rimane fuori è la Storia: l’aumento delle diseguaglianze, la disoccupazione giovanile, il disastro ambientale e l’erosione dello spazio pubblico a favore degli interessi privati.

Sebbene le grandi etichette non siano state inizialmente così interessate alla Vaporwave, la sua estetica viene oggi canonizzata e cannibalizzata dall’elettronica contemporanea, dalle produzioni videoludiche e dalle piattaforme di streaming (Stranger Things, Cyberpunk 2077, o progetti musicali come i The Midnight e Kavinsky, per ricordarne solo alcuni). 

Della Vaporwave rimane il lato di tendenza e quello parodistico. Non si estinguerà invece facilmente quel mixed feelings di nostalgia, tenerezza e paura che caratterizza uno dei più recenti prodotti estetici dell’Internet. 

È una presenza radicata nel profondo, nel cuore della società occidentale contemporanea.

Bigliografia

Grafton Tanner, Babbling Corpse: Vaporwave and the Commodification of Ghosts, Zero Books, 2016.

Fabio Monguzzi, Sintomi della normalità. Mente e mentalità dell’epoca contemporanea, Mimesis, 2021.

Laura Denardis, Internet in ogni cosa, Luiss University Press, 2021.