Un articolo di Aurora Abruzzese

“Donne di Corinto, eccomi, sono uscita dal palazzo: così non avete nulla da rimproverarmi”.

Con questo incipit, Euripide comincia uno dei monologhi più significativi della sua tragedia più famosa e tormentata: Μήδεια.
La protagonista dell’opera è una donna, straniera (o barbara come la appellavano i Greci), che si trova al centro di un dramma narrativo e personale così struggente da farla diventare uno dei personaggi più pop della cultura popolare tra i miti greci. È una donna che ha lasciato la sua casa, ha tradito la sua famiglia per aiutare gli Argonauti nella conquista del vello d’oro e sposare un uomo che, alla fine, la lascia per unirsi a una principessa più giovane e ricca. È una donna che, davanti all’abbandono del marito, reagisce in maniera violenta e brutale, uccidendo la nuova moglie di Giasone e, persino, i suoi stessi figli. È una donna che diventa protagonista di un dramma che passa attraverso i secoli, ispirando numerose opere e numerosi artisti, non ultimi Pier Paolo Pasolini e Lars Von Trier.

Il mito di Medea, declinato, nello specifico, nella tragedia di Euripide, ha posto diversi studiosi e drammaturghi nella posizione di rileggere e criticare politicamente il personaggio, concordando tutti sulla sua peculiarità indubbiamente sovversiva nei confronti delle istituzioni che la emarginano.
Tuttavia, sebbene non esistano, per l’appunto, dubbi sulla rappresentazione della protagonista come donna ribelle, bisogna chiedersi a questo punto: il carattere eversivo di Medea risulta essere una sfida o una riaffermazione nei confronti delle istituzioni patriarcali greche? In altre parole, la Medea di Euripide può essere considerata una femminista ante litteram?
Alcuni studiosi affermano che, se si considera esclusivamente il contesto storico in cui scrive il tragediografo,  Medea non può essere assolutamente considerato e letto come un testo protofemminista. Andrew Messing, Dottore dell’Università di Harvard, ritiene che Euripide capitalizzi le ansie sociali di un pubblico totalmente maschile nei confronti dell’emancipazione delle donne. Nello specifico, sebbene l’iter narrativo di Medea sembri voler suscitare a primo impatto simpatia ed empatia nei confronti di un personaggio così forte e risoluto, la medesima forza e risolutezza non sono altro che uno stratagemma drammatico per sottolineare il contrasto fra lei e la cultura patriarcale greca, ottenendo come risultato un profondo senso di sfiducia nei confronti della protagonista e la rilegittimazione del desiderio machista secondo cui le donne devono essere controllate.
Allo stesso modo, Helen Foley ritiene che la relazione fra Medea e le strutture sociali patriarcali che la circondano sia fortemente ambigua. Da una parte, infatti, Medea rivela con forza tutto l’annichilimento maschile nei confronti del genere femminile, declinato soprattutto nel rifiuto di riconoscere alle donne le capacità e i bisogni che, invece, legittimano per sé stessi; d’altra parte, però, la disumanizzazione e la brutalità a cui Medea giunge nel tentativo di ribellarsi allo status quo machista confermano ugualmente, secondo la studiosa, l’incapacità della donna per l’indipendenza e il comportamento civile. Pertanto, in considerazione del carattere fortemente contradditorio della femminilità sovversiva di Medea, Foley ritiene che né Euripide né il pubblico abbiano voluto vederci un messaggio femminista nel mito.

Ciononostante, sebbene Messing e Foley siano perfettamente nella ragione quando considerano il possibile divario tra le intenzioni autoriali di Euripide e le letture contemporanee sulla tragedia, la maggioranza degli studiosi concorda che la femminilità ribelle di Medea sia intrinsecamente nata per sfidare e minare le radici delle strutture patriarcali greche, indipendentemente dalla volontà di Euripide di esaltare o denigrare la rivoluzione femminista di Medea.

La follia di Medea fra strumento del patriarcato e resistenza femminista

Uno dei punti su cui maggiormente si concentra la rilettura femminista dell’opera di Euripide è proprio il rapporto fra femminilità e follia e su come quest’ultima, in particolare, derivi da una tradizione discorsiva patriarcale. Ad esempio, la critica letteraria Shoshana Felman afferma come la retorica patriarcale abbia etichettato come folli le donne che si rifiutano di essere sottomesse e di tacere davanti al predominio degli uomini che, al contrario, appaiono come gli unici detentori e dispensatori della ragione. Nel quadro dei discorsi patriarcali, inoltre, la follia è utilizzata anche come strumento per spiegare e minimizzare la differenza femminile, trovando una propria legittimazione nell’assegnazione alle donne di qualità animalesche e mostruose: Giasone, infatti, minimizza la rabbia di Medea per il suo abbandono etichettandola come folle e paragonandola a una creatura animalesca, suggerendo, in tal modo, la perdita della sua femminilità e, in generale, della sua umanità.
Tuttavia, ribaltando e riformulando quanto detto fuori dai limiti del discorso patriarcale, la follia di Medea può essere parimenti considerata come strumento di resistenza femminista: in contrasto con la perdita di femminilità, sanità mentale o umanità, infatti, la follia è l’emblema del rifiuto della protagonista di tacere davanti all’egemonia machista. La follia di Medea, quindi, è molto di più rispetto a una nozione patriarcale di patologia femminile ma è un atto di rinuncia intenzionale e calcolato nei confronti dei ruoli di genere in cui tenta di confinarla il sistema patriarcale greco. Il machismo greco esige e ordina che Medea rimanga in silenzio, etichettandola come folle quando non rispetta questo diktat, ma la protagonista, attraverso la voce e il corpo, si impone sulla presenza patriarcale dando implicitamente spazio a tutte le donne della Grecia del VI secolo.

Una femminista intersezionale antelitteram

In aggiunta a quanto detto finora, però, bisogna aggiungere un importante dettaglio. L’emarginazione di Medea non dipende solamente dal suo status di donna ma anche dalla sua condizione di straniera o barbara in territorio greco: motivo per il quale la protagonista sperimenta un particolare tipo di ghettizzazione, frutto delle intersezioni di genere e nazione. Nello specifico, il background di Medea come principessa della Colchide fornisce ulteriore legittimazione per l’esclusione operata dalle strutture nazionaliste e patriarcali greche, le quali la ritengono inferiore in quanto donna ed esclusa in quanto non cittadina greca.
Di conseguenza, come concordano numerosi studi, la follia di Medea come resistenza deve essere interpretata non solo in relazione al suo status di Altro femminile ma anche in rapporto alla sua condizione di Altro etnico: in altre parole, la pazzia della protagonista tenta di sovvertire non solo le nozioni patriarcali di femminilità ma anche la costruzione xenofoba ed etnofobica dell’identità nazionalista greca. Al tal proposito, quindi, la decisione di Medea di uccidere i propri figli è considerata folle, insensata dalla società greca ma, se analizzata sotto l’ottica del femminismo intersezionale, è un atto di resistenza fortemente femminista e antinazionalista.
Contrariamente a quanto si pensa, infatti, Medea non uccide i propri figli perché è indifferente alla propria famiglia ma sceglie di agire in questo modo per esprimere tutto il suo dissenso nei confronti di una società che altrimenti non l’avrebbe mai considerata. Si può, quindi, parlare più di sacrificio che di omicidio a riguardo dell’uccisione dei bambini in quanto Medea decide di soffrire personalmente e di autodistruggersi per concedersi e concedere alle altre donne greche una maggiore libertà di azione.  Al di là delle considerazioni di ordine etico e morale che possono e sono scaturite dalle azioni dell’eroina euripidea, è innegabile che il personaggio di Medea abbia sollevato, nel corso dei secoli, numerosi interrogativi e riflessioni sulla libertà limitata delle donne nel processo di autorealizzazione. Tale eredità femminista è testimoniata dalla lunga storia di appropriazione del personaggio da parte dei movimenti politici occidentali: la rabbia e la ribellione nei confronti dello status quo di Medea, infatti, è stata spesso utilizzata per sfidare la posizione e l’immagine delle donne attraverso le culture ed epoche storiche, diventando un simbolo della lotta e della resistenza femminile contro l’oppressione machista.

Bibliografia

Eccome si riconoscono gli stereotipi più tossici del machismo https://www.thewom.it/lifestyle/love-sex/machismo-tossico

Euripide, Medea https://www.miti3000.it/mito/biblio/euripide/medea.htm

Felman, S. (1993) Women and Madness: The Critical Phallacy in What Does a Woman Want?: Reading and Sexual Difference. John Hopkins University Press. 

Foley, H. (2009) Female Acts in Greek Tragedy. Princeton University Press, 

Hendrickson, C. (2017). The “Mad” Woman in Medea and Decolonial Feminist Revisions: An Intersectional Feminist Analysis of Three Plays (Doctoral dissertation).

Messing, A. (2009) Protofeminist or Misogynist? Medea as a Case Study of Gendered Discourse in Euripidean Drama. University of Massachusetts Boston.

Pasolini Pier Paolo, Medea https://it.wikipedia.org/wiki/Medea_(film_1969)

Perchè diciamo DIKTAT ilpost.it/2014/12/15/diktat/

Von Trier Lars, Medea https://it.wikipedia.org/wiki/Medea_(film_1988)