Articolo di Romeo La Floresta

Il dramma e la commedia

È autunno. Un’altra estate è trascorsa in mezzo a eventi climatici estremi, massicci incendi e arretramenti senza precedenti dei ghiacciai alpini. Solo tra il 2022 e i primi cinque mesi del 2023 in Italia si sono registrati 432 eventi climatici estremi di elevata gravità, che portano a oltre 100 miliardi di euro la stima dei danni economici subiti dal nostro Paese negli ultimi 43 anni, e più di 22.000 morti complessivi. La sola alluvione dell’Emilia-Romagna dello scorso maggio ha provocato 17 vittime e danni per circa 10 miliardi di euro.

In questo contesto diversi esponenti della maggioranza di governo hanno elargito – a cittadini sempre più colpiti e allarmati dalle conseguenze tangibili del cambiamento climatico sulle proprie vite – una serie di dichiarazioni tese a sminuire la portata della crisi in atto e soprattutto delle responsabilità umane che vi sono alla base. Si va dalle dichiarazioni di Salvini secondo cui lo scioglimento dei ghiacciai dipende unicamente da cicli storici e non dalle emissioni di gas serra, fino agli atteggiamenti ambivalenti del Ministro dell’ambiente Pichetto Fratin che oscillano tra la perplessità epistemologica e una rivisitazione grottesca del dubbio scettico.

Io credo, tuttavia, che anche dietro alle dichiarazioni più superficiali o in malafede del dibattito politico si nasconda una qualche forma di razionalità, sia pure fatta di argomentazioni carenti, monche o propriamente fallaci. Proviamo allora a superare la torbida confusione del circo mediatico e a individuare i nuclei filosofici sottesi ad uscite scomposte di questo tipo.

Due forme del negazionismo climatico

Innanzitutto, è un po’ troppo sbrigativo liquidare la questione come semplice “negazionismo climatico”. Se andiamo in profondità, infatti, ci accorgiamo che ci sono almeno due forme di negazionismo che qui entrano in gioco.

La prima, che chiameremo “negazionismo forte”, è quella di chi semplicemente nega che il cambiamento sia in atto. Una tormenta di neve in un luogo caldo o un periodo di freddo eccezionale possono essere tutti utili strumenti per screditare chi sostiene che la Terra si stia riscaldando, etichettandolo come un “catastrofista”. Si tratta di un tipico ragionamento induttivo (peraltro di una tipologia abbastanza ingenua), come quello di chi vedendo un cigno nero ne inferisse immediatamente che tutti i cigni al mondo sono neri.

Per replicare ad un negazionista forte è sufficiente ricordare che l’aumento delle temperature globali è un aumento medio, che può quindi occasionalmente comportare fenomeni di segno opposto. Il che significa che la desertificazione delle zone mediterranee e la siccità che ne consegue non sono incompatibili con il verificarsi di intense precipitazioni o alluvioni come quella recentemente avvenuta in Emilia-Romagna. La siccità e le inondazioni, come pure il brusco alternarsi di ondate di calore e di gelate insolite per un determinato territorio, sono tutte conseguenze dello stravolgimento dei pattern climatici del nostro pianeta.

Riassumendo, quindi, la prima forma di negazionismo è quella di chi, basandosi su dati empirici più o meno limitati, nega che il cambiamento climatico sia in atto senza comprendere come i fenomeni climatici estremi e anomali sono, in tutte le loro forme, effetti dei cambiamenti in atto. Questa posizione è talmente ingenua e scientificamente infondata che praticamente nessuno la sostiene seriamente nel dibattito pubblico, per quanto eventuali smentite potrebbero arrivare in qualsiasi momento anche in Italia se è vero che un negazionista forte è stato persino presidente degli Stati Uniti.

La seconda forma di negazionismo, che potremmo chiamare “negazionismo debole”, è ugualmente infondata ma più sottile e insidiosa. È questa la posizione con cui flirta gran parte della destra italiana (un esempio sono le dichiarazioni di Salvini citate all’inizio). Chi sostiene tale tesi non nega il cambiamento tout court, ma solo la sua origine antropogenica. In pratica si riconosce più o meno controvoglia la realtà del riscaldamento, ma se ne disconoscono le vere cause affermando che la Terra tende a riscaldarsi spontaneamente secondo dinamiche cicliche non imputabili alle attività umane.

L’indifferenza delle cause: qualche obiezione dalla filosofia

Il negazionismo debole viene talvolta presentato in una veste apparentemente attenuata e innocua. Si parte da una sorta di scettica sospensione del giudizio (epoché) circa le cause del cambiamento climatico per sottolineare che bisogna concentrarsi piuttosto sugli effetti osservabili di tale cambiamento (si vedano ad esempio le battute conclusive di questa intervista). Questa variante del negazionismo debole può sembrare più accettabile, e anzi più che come una forma di negazionismo si presenta quasi come un approccio pragmatico e incentrato sul dato empirico.

La sospensione del giudizio può in effetti costituire un valido strumento di fronte a questioni controverse e persino fungere da stimolo per la ricerca. Ma siamo sicuri che in un caso come quello del riscaldamento globale il distogliere deliberatamente lo sguardo dalle cause sia la soluzione giusta?

Partiamo da un fatto: le evidenze scientifiche sono – purtroppo – incontrovertibili. A meno che non abbracciamo una posizione epistemologica che metta interamente in discussione il metodo scientifico e la totalità dei suoi risultati, dobbiamo prendere atto della realtà del cambiamento climatico. Certo, come insegna il falsificazionismo di Popper, la scienza procede per tentativi e si fonda sulla possibilità che ogni sua conclusione ha di essere dimostrata infondata. Ma proprio la costante apertura alla smentita e il fatto che innumerevoli scienziati in tutto il mondo stiano conducendo studi sul clima della Terra dovrebbe farci prendere sul serio un consenso così schiacciante. Siamo sicuri di voler affidare delle decisioni così cruciali per la nostra sopravvivenza individuale e collettiva a pretestuosi balbettii epistemologici piuttosto che alle migliori evidenze disponibili sullo stato delle cose? Un minimale principio di precauzione è sufficiente a rifiutare anche questa forma di negazionismo.

Ma vi è anche una seconda ragione che consente di smascherare l’infondatezza del negazionismo debole. La filosofia, infatti, sin dalle sue origini insegna l’importanza di ricercare le cause delle cose. Già in Aristotele è la stessa esperienza della meraviglia filosofica che ci porta ad interrogarci sul mondo indagandone le cause: è solo quando conosciamo le cause di un fenomeno che possiamo dire di conoscerlo.

Conoscere la causa significa saper rendere conto del perché in determinate condizioni si verifica quel qualcosa e non qualcos’altro. Significa poter anticipare, entro un certo limite, il corso degli eventi e regolare la propria condotta di conseguenza. Come dice Spinoza, la conoscenza dell’effetto è tutt’uno con la conoscenza della causa, dunque senza comprensione dell’una non si comprende l’altro.

Applicando questo ragionamento alle questioni ecologiche, non possiamo semplicemente dire che non ci interessa la causa del cambiamento climatico e che dobbiamo concentrarci sui suoi effetti, soprattutto se è disponibile una gran mole di dati a favore di una conclusione ben precisa. Le evidenze disponibili lasciano poco spazio ai dubbi: la causa del cambiamento del clima della Terra a cui stiamo assistendo è l’emissione di gas serra nell’atmosfera da parte degli esseri umani iniziata con la rivoluzione industriale.

Certo che è necessario fare i conti con gli effetti di questo cambiamento, così come se divampa un incendio boschivo è necessario adoperarsi immediatamente per spegnerlo. Ma una volta passata l’emergenza puntuale, fa una certa differenza sapere se l’incendio è frutto di una qualche forma di autocombustione o se è stato causato da un gruppo di piromani. Nel secondo caso si potrebbe intervenire potenziando i controlli, adottando una legislazione più severa, curando maggiormente l’educazione ambientale ecc. Se spariscono i salmoni dai mari norvegesi potrebbe essere dirimente comprendere se tale sparizione è legata ad un’ estinzione spontanea o ad un eccesso di pesca da parte dell’uomo.

Analogamente, se vogliamo abbracciare misure serie di adattamento e mitigazione ai cambiamenti climatici, invece di limitare il nostro approccio ad interventi emergenziali e alla conta dei danni, abbiamo bisogno di dire chiaramente cosa c’è alla base di questo fenomeno. E abbiamo bisogno di una classe politica in grado di fare altrettanto.

Come i salmoni norvegesi

Perché allora se basta un ragionamento così semplice per mostrare la caducità del negazionismo (tanto di quello forte quanto di quello debole) nel dibattito pubblico ci si imbatte così di frequente in posizioni di questo tipo?

Naturalmente sono molte le ragioni per cui vengono oscurate, consapevolmente o meno, le vere cause del riscaldamento climatico. In certi casi non si può escludere una certa dose di ignoranza in buona fede. Ma sarebbe ingenuo non vedere che dietro simili prese di posizione esistono fortissimi interessi economici.

Se, infatti, riconosciamo l’importanza delle cause e rintracciamo tali cause nelle attività umane tipiche delle società industriali, la conclusione non può che essere che questo modello di società è alla base della crisi ecologica e climatica. E dal momento che questa crisi mina alle fondamenta le condizioni di possibilità della vita umana e non umana sulla Terra per come la conosciamo, dobbiamo scegliere se preservare queste condizioni di possibilità o il sistema socio-economico attuale.

Una volta che comprendiamo che la conversione “green” ormai in atto da tempo non ci sta avvicinando neanche lontanamente ad una soluzione soddisfacente del problema, diventa evidente che chiunque ritenga che si debba difendere a tutti i costi il sistema capitalistico nella sua variante neoliberale sta indirettamente proteggendo la causa del collasso su larga scala del sistema di supporto vitale da cui dipende la sopravvivenza nostra, delle generazioni a venire e di innumerevoli altre forme di vita.

Non abbiamo solo bisogno di una classe politica che per una volta dica la verità sulle cause della crisi. Abbiamo bisogno di una classe politica che ne tragga apertamente le giuste conclusioni. È ora che le voci di tutto il mondo che stanno chiedendo una drastica inversione di rotta si intensifichino e si uniscano. Almeno se non vogliamo fare la fine dei salmoni norvegesi.

FONTI

https://www.ipcc.ch/assessment-report/ar6/

https://climate.nasa.gov/scientific-consensus/

https://public.wmo.int/en/media/press-release/wmo-annual-report-highlights-continuous-advance-of-climate-change

https://www.unep.org/resources/emissions-gap-report-2022