Un articolo di Aurora Abruzzese

La fine di un’era.
Un pezzo di storia che se ne va.
Dal 12 giugno scorso, le reti televisive e i giornali si sono popolati di esclamazioni simil-apocalittiche di questo genere, tentando di descrivere un evento, in un certo senso, catartico della nostra storia contemporanea.
Davanti a questo momento, però, una cosa, più di ogni altra, rimane certa e innegabile: la morte di Berlusconi non costituisce affatto la fine di un’era. Il Berlusconismo, infatti, esiste e resiste fortemente alla morte del suo leader e permea in modo netto non solo l’ambiente politico ed economico ma, sfortunatamente, anche il nostro sistema valoriale e sociale. Per fare questo, l’ex premier ha usato e controllato, forse, il medium sicuramente principale prima dell’avvento dei social, la televisione: Berlusconi, infatti, ha reso in particolare il colosso di Mediaset l’incarnazione non solo della sua politica spregiudicata ma anche del suo stile comunicativo, della sua persona, delle sue idee. E, in tal senso, uno degli esempi più emblematici per comprendere la tv generalista berlusconiana è la raffigurazione sessista delle donne e del femminile.

Una questione di male gaze

L’inizio di tale tendenza si riscontra all’inizio degli anni Ottanta, quando esordisce su Italia 1 Drive In (1983 – 1988). Il programma, in realtà, non è totalmente una novità ma raccoglie l’eredità di alcuni programmi Rai e, soprattutto, delle emittenti private locali, che avevano introdotto sul piccolo schermo ballerine seminude che ammiccano e seducono gli spettatori. Allo stesso tempo, però, Drive In abbandona la semiclandestinità delle emittenti minori e il posizionamento in seconda serata delle reti Rai, piazzandosi e legittimandosi in prima serata. 

All’interno del format, i ruoli comici sono affidati solo agli uomini mentre le donne sono oggetto e strumento sessuale e comico per schernire l’italiano medio e, allo stesso tempo, per legittimarne le perversioni: in altre parole, i protagonisti maschi di Drive In sono uomini di mezza età, sposati che rimangono completamente soggiogati e provocati dalla bellezza di giovani donne disinibite, salvo poi giurare obbedienza e fedeltà alle mogli, non tradendo mai, di fatto, il sacro vincolo del matrimonio. Collocandosi pienamente nel fenomeno comico-erotico inaugurato dalla commedia all’italiana di Banfi e Vitali, il programma dimostra il nesso profondo tra il taglio narrativo della tv berlusconiana e il modello culturale e valoriale della nazione inerente alla concezione sul femminile: si tratta, infatti, di un maschilismo tradizionale e imprenditoriale, dove il corpo delle donne è mercificato e sempre a disposizione dello sguardo erotico maschile.
Alla luce di ciò, si nota come l’ex premier incarni perfettamente lo stereotipo dello spettatore medio di programmi di questo tipo, all’interno dei quali i valori familiari sono contemporaneamente negati e legittimati: se da un lato, infatti, si assiste alla propaganda familista del “bonus bebè” e del Family Day, dall’altro lato, ci sono le escort, i festini ad Arcore, le denunce per prostituzione minorile. Berlusconi, pertanto, appare come il massimo promotore e praticante dell’ideologia fondante dell’intrattenimento familiare di massa, in cui il consumatore è attratto proprio da questo principio di rovesciamento dove lo status sociale e valoriale, fondato sulla famiglia tradizionale, è legittimato e confermato proprio attraverso un processo di trasgressione dello stesso. 

Una questione di kalokagathia

Fra la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio, Mediaset si fa promotore e pioniere di un nuovo modello di televisione che popola in modo deciso anche il palinsesto contemporaneo: la makeover television. Nello specifico, si tratta di programmi, spesso di importazione americana, in cui persone comuni vogliono operare un cambiamento radicale nelle loro vite, relative al proprio status (ad es., i talent show), la propria abitazione, la relazione con il proprio partner e, soprattutto, il proprio aspetto esteriore. Si caratterizzano, inoltre, per l’uso di un taglio decisamente intimistico accompagnato dai commenti e dai consigli degli esperti, il che contribuisce a dare al format un gusto maieutico, secondo cui la trasformazione esteriore è accompagnata da un cambiamento interiore.
L’iconografia prodotta da questi spettacoli risulta, a una prima analisi, significativamente coerente con la comunicazione pubblica del “corpo” di Berlusconi: attraverso l’uso di parrucchini e lampade abbronzanti, infatti, l’ex premier ha sempre cercato di riprodurre quell’idea socialmente desiderabile di fisicità, promossa dalla makeover television, legittimandone, di conseguenza, i principi fondanti. In altre parole, Berlusconi incarna in modo vincente il funzionamento stesso di questa televisione. 
In aggiunta a ciò, si può osservare come la makeover television si fondi proprio su un processo di femminilizzazione del corpo a prescindere dal gender: si esalta la cura personale, il gusto dell’eleganza nel vestirsi e si incentiva, in alcuni casi, l’uso del make up. Ciononostante, la motivazione ultima che muove il maschile e il femminile è profondamente diversa. All’interno della makeover television, infatti, nonostante l’adozione di pratiche socialmente associate al mondo femminile, la virilità non è mai negata o contraddetta al contrario della femminilità che, paradossalmente, deve essere sempre riconquistata e riaffermata attraverso il lavoro sul corpo. In altre parole, l’identità che deve essere riconosciuta dagli spettatori è, essenzialmente, l’identità di genere.
Quanto detto genera, di conseguenza, due considerazioni. Da un lato, per quanto apparentemente smetta di essere completamente assoggettato allo sguardo maschile, il corpo della donna interiorizza tale processo di mercificazione e diventa, quasi coscientemente, oggetto di analisi e giudizio esterno ed estetico.
Dall’altro lato, la costruzione della femminilità nella makeover television rivela il nesso fra ideologia neoliberista e il post-femminismo nella società moderna, concretizzandosi nella dicotomia fra scelta individuale e disciplina (auto)imposta. Da un lato, infatti, le donne sono descritte come libere, emancipate e in grado di autodeterminare sé stesse e il proprio corpo. Dall’altro lato, però, la soggettività femminile è vista come il luogo cardine dell’insicurezza e dell’incertezza che necessita continuamente di essere riaffermata. In conclusione, quindi, le donne della makeover television hanno interiorizzato lo sguardo maschile e, aderendo ai canoni estetici imposti proprio da quest’ultimo, inseguono tale modello, rivendicandolo come espressione della libertà di scelta.
E l’aspetto più inquietante è che tale tendenza permea in modo ancora pregnante la televisione di oggi. 

BIBLIOGRAFIA

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