nichilismo
R. Magritte, Senza volto

“Nichilismo” è una parola molto facile da usare. O perlomeno, è una parola che si adagia
molto comodamente tra le labbra degli intellettuali. Ogni tanto mi capita pure di sentirla in
qualche talk show, quando mio padre la sera accende la televisione e si ostina ad
ascoltare tutti quei dibattiti politici in cui “conversare moderatamente” non è di casa. Ma
ovviamente la sua dimora preferita è l’università, dove schiere di studenti affrontano
insieme questo terribile nemico e lo combattono, accorpati come una legione romana.
Attraverso appassionanti battaglie che avvengono nel segreto delle loro teste – e che,
purtroppo, mai vedranno la luce – allievi e professori cercano senza sosta la “soluzione”
dell’enigma, come se la grande filosofia del futuro dovesse arrivare nel momento in cui
una sola persona riuscisse a scrivere, tra le righe di un saggio, la seguente frase:
“Abbiamo superato il nichilismo”. Tuttavia parlare di nichilismo significa anche avere tra le
mani una questione davvero delicata, e perciò secondo me deve essere posta nei termini
giusti. Affido umilmente al lettore il giudizio sulle riflessioni che sto per scrivere.

Situazione e presupposti del nichilismo
Per “nichilismo” generalmente si intende la crisi di valori che sta attraversando l’attuale
società contemporanea. Più precisamente, dal punto di vista filosofico ciò si traduce
nell’incapacità della nostra cultura di saper trovare un qualsiasi tipo di “valore” o “criterio”
che possa decidere, o anche solo fare chiarezza, all’interno di un determinato ambito. Che
cos’è il bene e il male? Che cosa sono la destra e la sinistra? In che modo possiamo
risolvere il cambiamento climatico? Mai come oggi la risposta a queste domande è un
ironico, grande, immenso Boh che risuona dalle profondità della storia. Scontata, a tal
proposito, la reazione dei filosofi, che di fronte a simili problemi diventano piacevolmente
agguerriti. La loro discussione è presto permeata nel sentire comune e questo è il motivo
per cui anche i politici, per esempio, hanno una vaga idea a riguardo. Tra le tante parole
versate in merito, tuttavia, ci sono due presupposti fondamentali che a mio avviso
accogliamo quando parliamo di nichilismo, e che sono allo stesso tempo causa di molti
fraintendimenti:

  1. Il nichilismo è letto in termini morali, ovvero è visto come un qualcosa di “sbagliato”, di
    “cattivo”. Lui è il nemico letale che il nostro tempo deve affrontare, e dobbiamo “superarlo”
    così come si supera un ostacolo che sta intralciando la nostra strada.
  2. Il nichilismo è letto come termine finale di un processo storico che è iniziato molto
    tempo fa. C’è, in altri termini, un’ulteriore lettura storica che si aggiunge alla precedente, e
    che contribuisce a “dare forza e peso” a questo “acerrimo male”: il nichilismo è così forte
    perché ha dalla sua parte la storia, cioè la modernità stessa.

L’origine di questi presupposti che tacitamente accogliamo sta, in gran parte, nel pensiero
di Heidegger. All’epoca, infatti, la lettura che lui fece del nichilismo ebbe una tale forza da

diventare un punto di riferimento per gli anni a venire – e per “anni a venire” intendo fino ai
giorni nostri. Una buona sintesi ne è data nelle sue lezioni universitarie degli anni ’40,
anche se ci sarebbe molto da aggiungere. Sta di fatto che questa visione del nichilismo,
con questi presupposti, ebbe una potenza incredibile. Tuttavia una simile efficacia non
implica il fatto che, a più di settant’anni dalla sua formulazione, essa debba valere in
maniera altrettanto diretta come lo fu allora.

Rovesciare i presupposti e saper dimenticare
Per impostare la questione in termini diversi dobbiamo convincerci del fatto che, in fondo,
non ci sia niente di male nel nichilismo né tantomeno nell’essere nichilisti. Detto ancora più
semplicemente, il nichilismo non deve essere per noi problema. Ciò significa forse
abbandonarsi al relativismo e rinunciare alla ricerca filosofica della verità? Assolutamente
no. Ma procediamo con ordine. Il nichilismo è la condizione della nostra contemporaneità.
Io non capisco cosa ci possa essere di male nel fatto che, per un certo periodo di tempo,
una determinata cultura o società si trovi priva di riferimenti. Pensiamo la cosa dal punto di
vista individuale. Nel corso della propria esistenza ciascuno di noi affronta momenti di
smarrimento; ma nessuno ha mai superato questi periodi ritenendosi una persona “cattiva”
o “sbagliata”, il cui carattere deve venire assolutamente riscritto da zero, come se il
momento di smarrimento non fosse mai avvenuto. Semplicemente, quando non siamo
soddisfatti di noi stessi, oppure quando riteniamo di dover cambiare qualcosa in noi, o
ancora quando non sappiamo che direzione abbia preso la nostra vita, noi continuiamo il
cammino. Certo, l’importante è non fermarsi e guardare al futuro, cercare una soluzione.
Ma allo stesso tempo non vogliamo neppure tornare al passato o addirittura rimuovere il
presente come se non fosse mai esistito. Ci siamo smarriti perché abbiamo abbandonato
ciò che eravamo. Semplicemente, continuiamo il cammino.
Di conseguenza il nichilismo deve forse essere letto in un’ottica descrittiva e non
antitetica. Il nichilismo è solo la situazione in cui ci troviamo oggi. Non è un nemico da
superare o a cui arrendersi. È la fase di transizione di una persona che, per così dire, è
stata lasciata dalla propria amata e sta lentamente volgendo lo sguardo ad altro. Così i
due assunti fondamentali di prima vengono totalmente rovesciati:

  1. Il nichilismo deve essere letto con sguardo innocente e non morale, poiché è al di là del
    bene e del male. Tra l’altro, pensarlo come “male” significa accogliere come “bene” i criteri
    ed i valori del passato. Ma per noi simili criteri e valori non funzionano più, quindi non
    possiamo accoglierli come “bene”. Da questo punto di vista Nietzsche aveva e ha sempre
    avuto ragione quando diceva di avere il nichilismo sopra, dietro, dentro e oltre a sé – ha
    anticipato i nostri tempi di duecento anni.
  2. Il nichilismo deve essere letto in termini antistorici perché, di nuovo, pensarlo solamente
    come frutto sbagliato del passato ci invita a regredire verso questo stesso passato e non
    verso il futuro. Penso che ogni tanto faccia bene pensare al presente come se il passato
    non fosse mai esistito, o come se il presente stesso fosse esistito da sempre. Potrebbe
    anzi essere interessante pensare il nichilismo come se fosse esistito da sempre, e come
    se non ci fosse mai stata la modernità o le due guerre mondiali. Dimenticare è a volte la
    miglior cura per reimparare a ricordare.

Un bambino e il suo sonno

nichilismo
S. Dalì, Donna alla finestra

Se impostata in questi termini, la questione del nichilismo perde molta della sua efficacia.
Essa non ha più alle spalle né la forza della storia né quella dei valori morali. Così allievi e
maestri non sentiranno più il peso della modernità, e non saranno più costretti a risolvere i
problemi non solo del proprio tempo (cosa che è difficile già di per sé), ma addirittura quelli
dei propri predecessori. Per una volta, quindi, “diamola vinta” al nichilismo – ma solo per
confinarlo in un luogo più semplice, l’istante presente, dove la battaglia perderà forse la
sua ragion d’essere.
Lasciatemi quindi, per concludere, che vi racconti un segreto. Quando ero piccolo avevo
una terribile paura della notte. Il buio che copriva le mie pupille prima di addormentarsi
aveva per me chissà quale orrendo significato – forse simboleggiava la morte. Così, ogni
sera, iniziavo la mia immensa battaglia, dove un bambino fronteggiava il suo sonno per
non perdere la luce raccolta durante la giornata. Sfortunatamente non sono mai riuscito a
vincere. Ma un giorno mi è capitato di firmare un buon armistizio, e abbiamo fatto la pace.
Siamo rimasti così: io non avrei più preteso di scegliere se e quale sia l’istante per dormire
(il sonno ha i suoi doveri da svolgere). In cambio lui non mi avrebbe più fatto paura per il
resto della giornata. Sinceramente non mi ricordo quando abbiamo firmato un simile
contratto, ma penso che vada bene così. Ogni notte quindi lascio andare i pensieri sul
cuscino, per iniziare un viaggio che ormai non è più mio. Quel vuoto adesso fa parte della
mia vita. Cullato dalla sua barca, vengo traghettato verso il mattino. Così di nuovo gli occhi
si aprono; e se poi sono particolarmente fortunato mi sveglio assieme alla luce del sole
che, curiosamente, arriva puntuale come sempre.

Bibliografia
Heidegger M., Il nichilismo europeo, Adelphi, Milano 2003 (1961)
Nietzsche F., Sull’utilità e il danno della storia per la vita, Adelphi 1974 (1874)
Nietzsche F., Il nichilismo europeo, Adelphi, Milano 2006 (1887)