Un articolo di Lorenzo Carbone

Come ci poniamo di fronte al contrasto tra la fedeltà alle proprie convinzioni e gli indispensabili compromessi richiesti dalla vita in società? Cosa fare se ci innamoriamo della persona che incarna un modus vivendi incompatibile con le nostre aspirazioni? Questi interrogativi muovono i grovigli dell’opera Il Misantropo di Molière e continuano a presentarsi nel corso dei secoli. Il lettore-spettatore è chiamato a partecipare alla narrazione, schierandosi in maniera assidua e multiforme tra compromesso e intransigenza.
La rigidità del melanconico ci fa ridere
La riflessione che ha scritto il filosofo Henri Bergson sull’opera di Molière ci aiuta a sottolineare alcuni aspetti:
«La commedia comincia con ciò che si potrebbe chiamare l’irrigidimento contro la vita sociale. È comico qualunque individuo che segua automaticamente il suo cammino, senza darsi pensiero di prender contatto con gli altri. Il riso è là per correggere la sua distrazione e per svegliarlo dal suo sogno. […] La rigidità, dunque è sospetta alla società: la rigidità di Alceste ci fa ridere, benché in questo caso tale rigidità sia onesta».
La rigidità di Alceste, il protagonista, è evidente sin dalle prime battute dell’opera quando, riferendosi all’amico Philinte, reclama: «Quello che avete fatto è imperdonabile e un uomo d’onore dovrebbe rabbrividire al solo pensarci. Vi vedo coprire un uomo di complimenti, offrirgli le più ampie manifestazioni di affetto e un momento dopo, quando vi chiedo chi fosse quell’uomo, a mala pena sapete dirmi come si chiama». Philinte ricorda all’amico le buone maniere ed incita ad intraprendere un atteggiamento flessibile, dal momento che si vive in una società: «Quando uno vi viene incontro e vi abbraccia tutto festevole, bisogna pur ripagarlo della stessa moneta; rispondere in qualche modo alle sue premure e contraccambiare profferte e giuramenti». Da un lato, Alceste si appella ad un libero esame individuale per corrispondere alla sostanza dei rapporti, non riscontrata dalle forme di cortesia, perlopiù ipocrite, presenti nel Seicento all’interno della vita di corte. D’altro lato, Philinte fa appello alla necessità di ricorrere ad un costume assunto da un’intera nazione, per quanto arbitrario sia. Chi gli si oppone diviene innaturale, stravagante e manca di lealtà isolandosi rispetto alla vita sociale del suo tempo.
Il sottotitolo che comparve nella prima pubblicazione dell’opera, uscita nel 1666, mette in evidenza l’intreccio centrale della commedia: Le Misanthrope ou l’Atrabilaire amoureux, ovvero Il Misantropo o l’atrabiliare innamorato. L’umore atrabiliare rimanda alla fisiologia dell’epoca, che distingueva quattro principali liquidi o umori nel corpo umano, ovvero sangue, flegma, bile gialla e bile nera. Dal loro dosaggio e dal prevalere dell’uno sugli altri si credeva che dipendesse il temperamento del singolo. Nel caso del misantropo, si ha una prevalenza della bile nera, chiamata anche atrabile, che corrisponde al carattere melanconico. Alla base della misantropia di Alceste, cioè della sua insofferenza di un costume sociale, si può rintracciare l’esigenza di autenticità nei rapporti umani. Alceste non tollera comportamenti falsi, il rispetto di formalità non sentite e i pettegolezzi. È questo il motivo che lo induce a criticare Philinte: «Bisognerebbe punire senza pietà questo vergognoso commercio di parvenza d’amicizia. Voglio che in ogni occasione nei nostri discorsi sia il fondo del nostro cuore a mostrarsi e che i nostri sentimenti non si mascherino mai sotto vani complimenti».

Un amore senza lieto fine
Oltre ad avere un umore atrabiliare, Alceste è innamorato. Il protagonista riserva il proprio amore per Célimène, colei che rappresenta tutte le istanze viziose tipiche della vita di corte, criticate e bruscamente tenute a distanza da Alceste. Célimène rinfaccia la rigidità, il carattere estremamente irritabile e litigioso di Alceste, in nome della galanteria cortigiana. La coquette [civettuola] ribadisce: «Voi amate una persona per poter litigare con lei; la vostra passione si esprime soltanto con male parole, e davvero non si è mai visto un amore tanto fatto di rimproveri». Nonostante il consenso di Célimène verso l’amore di Alceste, quest’ultimo è geloso e dubita che il suo sentimento sia ricambiato. Egli ha buone ragioni per sospettare l’autenticità di Célimène, visti i numerosi pretendenti che costantemente le si presentano a corte e la dama si trova sempre ben disposta a cedere verso le loro lusinghe. Tuttavia, i comportamenti del misantropo non rispettano le convenienze. L’impetuosità delle sue azioni rappresenta una violazione continua del codice galante presente nello strato sociale in cui si situano tutti i personaggi della commedia.
Alceste si rende comico; il riso provoca un distanziamento rispetto al personaggio, nella misura in cui il protagonista non rispetta i codici sociali del suo tempo. Eppure, siamo portati a sodalizzare con Alceste in quanto desidera lealtà e fedeltà da parte della sua amata ma, diversamente da lei, non riesce ad esercitare un’influenza nei confronti della coquette. Forse, ciò deriva proprio dal suo rigido individualismo, che lo rende doppiamente comico. Oltre a far ridere perché cade in errore violando norme sociali, Alceste è comico in quanto ha le sue ragioni ma è incapace di farle valere, ovvero è incapace di quella flessibilità delle proprie posizioni richiesta nel rapportarsi con gli altri.
Al fondo di Alceste c’è un’attrazione involontaria verso il narcisismo di Célimène. Il misantropo chiede alla coquette di rinunciare al suo narcisismo, smettendo di specchiarsi con piacere vedendo riflessa l’immagine di ammirazione verso di lei da parte dei suoi corteggiatori. Ciò comporterebbe un voltare le spalle alla socialità mondana, uscendo fuori dal mondo. Spodestare il narcisismo di Célimène produrrebbe la vendetta del misantropo, privato del proprio amor di sé dalla coquette che, attraverso il suo fascino, esercita una forza alla quale il protagonista si trova costantemente sottaciuto. Il desiderio di Alceste non tarderà a soccombere. La risposta di Célimène, infatti, non piacerà al misantropo, condannato così all’isolamento: «Io, rinunciare al mondo prima d’esser vecchia e andare a seppellirmi in mezzo al deserto?» […] «La solitudine spaventa a vent’anni».
Nonostante i tentativi di conciliazione tra i due personaggi, che consentirebbero il lieto fine dell’opera, a prevalere è la rigidità di entrambi: quella di Alceste, indisposto a cedere ulteriormente ai vizi della mondanità, vede come unica occasione di rivalsa il fatto di ritirarsi in uno spazio chiuso dove, paradossalmente, non può più esercitare e far valere le proprie presunte virtù, in quanto quest’ultime richiedono interazione umana; quella di Célimène, indisposta a uscire dallo spazio che le offre la vita cortigiana, in modo da rendersi disponibile ad accogliere tutti i suoi corteggiatori. Il lieto fine della commedia è concesso solamente ai due personaggi capaci di accordarsi e non corrotti dal narcisismo. Si tratta di Philinte, l’unico vero amico di Alceste, e Eliante, la cugina di Célimène, verso i quali Alceste riversa la propria ammirazione nel congedo dalla scena: «Possiate conservare per sempre questi sentimenti reciproci ed essere così pienamente felici».
In questa commedia di Molière siamo soliti ridere della rigidità di colui che vorrebbe troppo correggere i costumi sociali e non tanto dei costumi stessi da modificare. La flessibilità è una condizione indispensabile per affrontare la vita in società, accordarsi con gli altri, giungere a compromessi, rispettare forme di galanteria socialmente condivise, anche se non propriamente confacenti i nostri criteri di autenticità. Inoltre, la flessibilità è una condizione necessaria per instaurare un legame di coppia armonico, ma a tutto ciò Alceste sembra non dare ascolto. La rigidità invece è un elemento costante presente nella commedia, tramite cui poter leggere la stessa in forma ciclica. Le lamentele iniziali di Alceste verso le buone maniere della vita cortigiana corrispondono e fanno seguito ad un nuovo inizio, seguito dal ritiro finale dal mondo da parte del misantropo. La rigidità è ciò che consente l’instaurarsi nella commedia degli aspetti maggiormente comici, ma anche drammatici allo stesso tempo. Di volta in volta, nelle specifiche situazioni messe in evidenza dal testo, il lettore-spettatore è chiamato a sbilanciarsi verso una delle seguenti prospettive, tenendo conto del reciproco intreccio che le caratterizza: da un lato, si ride di Alceste prendendo le distanze dai suoi comportamenti intransigenti e inconciliabili con la vita in società; d’altro lato, si sostiene il protagonista nel suo tentativo di promuovere determinate istanze morali, come sincerità e coerenza, difficilmente riscontrabili nel mondo in cui vive.
Riferimenti bibliografici
H. Bergson, Il riso. Saggio sul significato del comico, Laterza, Bari 2017.
S. Brugnolo, D. Colussi, S. Zatti, E. Zinato, La scrittura e il mondo. Teorie letterarie del Novecento, Carocci, Roma 2016.
F. Fiorentino, Il ridicolo nel teatro di Molière, Einaudi, Torino 1997.
L. Lunari, La più ardua commedia di Molière in Molière, Il Misantropo, BUR Rizzoli, Milano 2018.
F. Orlando, Due letture freudiane: Fedra e Il Misantropo, Einaudi, Torino 1990.
Video-intervista a Giulio Scarpati
