Niente di nuovo sul fronte ambientale
In questa anomala campagna elettorale di fine estate la crisi del gas sta portando prepotentemente al centro del dibattito pubblico alcuni temi cruciali per chiunque abbia a cuore le tematiche ecologiche – quindi per chiunque abbia a cuore il proprio futuro e quello dei propri cari. Per questo è ormai frequente che temi come il tetto al prezzo del gas, l’abolizione dei jet privati, il ritorno al nucleare riempiano i dibattiti da talk show (sempre più scadenti). Si parla qua e là persino di un razionamento dei consumi e di una nazionalizzazione delle imprese strategiche del settore dell’energia. Finalmente, direte voi, si discute di qualcosa di importante, finalmente la questione ecologica ha lo spazio che merita nella scelta dell’indirizzo politico dei prossimi anni.

Purtroppo non è così. Le tematiche ambientali vengono toccate solo in relazione all’impennata dei prezzi energetici e non per un interesse autonomo per la crisi ecologica. Poco male, si potrebbe rispondere, l’importante è che se ne parli. Ancora una volta, non credo sia così semplice. Perché esiste una linea solo apparentemente sottile tra occuparsi delle questioni ecologiche per ottenere il voto dei più colpiti dai rincari e occuparsi delle medesime questioni perché si è compresa questa crisi in tutta la sua gravità. La linea non è affatto sottile e le domande con cui ci avviciniamo al problema condizionano inevitabilmente la strada su cui cerchiamo le risposte.
Ma su questo torneremo tra poco. Per il momento limitiamoci a constatare che, di fronte a delle strategie di risparmio sul gas che potrebbero apparire quasi draconiane rispetto agli standard a cui siamo abituati, risultano del tutto comprensibili le proteste che gli ambientalisti dall’inizio della pandemia indirizzano ai governi, accusandoli di accampare scuse per giustificare la scarsa incisività delle loro azioni in ambito ecologico. Il confronto tra i ripetuti flop delle varie COP e le misure drastiche attuate durante l’emergenza pandemica e (almeno per ora) ipotizzate durante quella energetica dimostrano, semmai ce ne fosse ancora bisogno, che non stiamo trattando la crisi ecologica per quello che è realmente: la più grande sfida che la specie umana si sia mai trovata di fronte nella propria storia.
Il partito che non c’è (o quasi)
La crisi ecologica naturalmente non è l’unico elemento che rende drammatica e senza precedenti l’attuale congiuntura storico-politica. Le cause sono almeno quattro:
- Crisi pandemica. Anche se nei programmi di quasi tutti i partiti non si parla di investimenti significativi nella sanità, non va dimenticato che queste sono le prime elezioni nazionali dallo scoppio della pandemia. Si tratta di una condizione che a tratti passa sullo sfondo ma che rappresenta in realtà un motivo di perenne incertezza a causa delle nuove varianti sempre possibili. Chissà cosa sarebbe successo se avessimo messo sin da subito la socializzazione dei brevetti e la copertura delle aree povere del pianeta in cima alla nostra agenda sanitaria.
- Crisi internazionale. Lo scenario prodotto dalla guerra in Ucraina è persino peggiore di quello sanitario, con tutte le gravi conseguenze che ne derivano in termini di perdita di vite umane, polarizzazione mediatica, indebolimento dell’Europa, dinamiche inflattive e così via. – Per approfondire questo punto, rinviamo alla lettura di due altri articoli de La Città di Fedora: Una stagione di imperialismo e di lotta per l’egemonia e La propaganda di guerra e la mobilitazione sociale.
- Crisi sociale. La situazione resa già esplosiva dalle perenni contraddizioni del sistema capitalistico in termini di disuguaglianze, crisi salariale, disoccupazione di massa è stata aggravata a una velocità impressionante da quanto detto ai punti precedenti.
- Crisi ecologica. Anche volendosi limitare alla situazione italiana, credo che disastri come quello della Marmolada e il caldo torrido alternato ad alluvioni distruttive abbiano ampiamente dimostrato anche agli scettici che la crisi è più vicina a noi di quanto ci piacerebbe pensare.
Su questi quattro aspetti – queste quattro crisi che marchieranno a lettere di fuoco la nostra epoca agli occhi delle generazioni future – che cosa hanno da dire i maggiori partiti attualmente in lizza per qualche punto in più nei sondaggi? Purtroppo, quasi sempre, molto poco. In generale bisogna ammettere che il livello del dibattito è piuttosto basso, caratterizzato com’è da attacchi ad personam e scarsissima attenzione per programmi e vere argomentazioni.
Ciò che rende particolarmente deludente questa campagna elettorale è la consapevolezza che, di fronte ad un’evidente “accelerazione” della storia, i partiti siano incapaci non solo di dare soluzioni, ma soprattutto di sviluppare un’autentica prospettiva politica su questi problemi. Naturalmente una simile incapacità deriva in primo luogo dalla tendenza invincibile a tenere separati i problemi di cui si è detto. Ciò risulta particolarmente grave sul versante di sinistra, dove (con alcune eccezioni come si vede, ad esempio, dal programma di Unione Popolare) si registra quasi sempre una determinazione insufficiente nel collegare giustizia sociale, giustizia ambientale e situazione internazionale in un pensiero davvero unitario.
Forse da troppo tempo ci siamo assuefatti alla pratica di mettere da parte le domande profonde (e scomode), rinunciando a chiederci quale sia oggi il potere di contestazione della sinistra di fronte a un sistema, quello capitalistico, che rischia di stritolarci nelle sue contraddizioni. Finché non affronteremo questo problema, lasceremo sempre campo libero alla destra che distoglie deliberatamente l’attenzione dell’elettorato e, con la complicità della “sinistra”, imposta la campagna elettorale su flat tax, immigrazione e presidenzialismo invece che sul carovita drammatico che sta travolgendo la maggior parte dei cittadini, sull’impoverimento dei lavoratori, sull’accelerazione senza precedenti del collasso ambientale. Un po’ come trastullarsi mentre Roma brucia.

L’ecologia (vera): la grande assente
Tornando alla crisi ecologica e climatica, molti attivisti devono oggi constatare con amarezza che nessuno dei maggiori partiti ha un programma all’altezza di quanto richiederebbe la gravissima situazione in cui versiamo. Peggio ancora: nessun partito attualmente presente in Parlamento sembra avere una visione sufficientemente profonda della crisi ecologica e di una possibile strategia per uscirne.
Naturalmente il mio obiettivo non è scoraggiare il lettore dall’andare a votare né sostenere qualunquisticamente che nei programmi di nessun partito si trovino possibili risposte al problema ambientale. Anzi, quasi tutti i programmi vi dedicano un capitolo – per la verità, spesso solo poche righe. Il problema è che la questione ecologica viene affrontata il più delle volte in modo assolutamente superficiale, come se tutto fosse riducibile a prese di posizione binarie (nucleare sì-nucleare no, abolizione dei jet privati sì oppure no ecc.).
La buona notizia per chiunque sia realmente interessato ad un modello di società meno distruttivo di quello attuale è che non è difficile capire da dove iniziare a cercare una soluzione. Nel nostro Paese fatica ancora a formarsi una diffusa coscienza ecologica che possa orientare le decisioni collettive e le politiche ambientali. E l’ecologia, quella vera, non è uno spot pubblicitario colorato di verde; è pensiero della complessità, consapevolezza della connessione profonda che unisce tutte le componenti viventi e non viventi che interagiscono in un sistema. (Leggi l’articolo Quando si dimentica la natura).
Sviluppare un’autentica coscienza ecologica, oltre che di classe, non significa avere in tasca ricette semplici (il problema, come si è detto, è gigantesco), ma quanto meno trovare una direzione in cui cercare. Significa avere una profonda consapevolezza dell’inseparabilità delle diverse emergenze in cui si declina la crisi ecologica. E, cosa più importante in questi tempi di grande smarrimento per il popolo della sinistra, significa avere una bussola per confrontare le diverse proposte politiche e vagliarne l’effettiva consistenza.
Gli unici partiti che, giocoforza, mostrano una maggiore attenzione per delle possibili soluzioni sono, oltre alla già citata Unione Popolare, i Cinque Stelle e l’alleanza di Verdi e Sinistra Italiana. Tuttavia, sebbene i programmi di questi ultimi prevedano anche delle misure ragionevoli e ampiamente condivisibili, di fronte al problema energetico cadono facilmente in contraddizione. Se si considera infatti l’impossibilità di far fronte al fabbisogno energetico italiano unicamente con il ricorso alle rinnovabili, è facile trarre la conclusione che sia giusto finanziare rigassificatori e centrali nucleari. Ora, se anche l’Italia puntasse tutto sulle rinnovabili (quindi molto più di quanto fatto attualmente con la strategia della “diversificazione” perseguita da Cingolani con il PNRR),
il problema continuerebbe ad esistere. Naturalmente si tratterebbe di una soluzione di gran lunga preferibile rispetto alle alternative più rischiose ed inquinanti propugnate dagli altri partiti, ma anche in quel caso il nostro Paese non riuscirebbe in tempi brevi a coprire il suo fabbisogno soltanto da fonti pulite (e anche sul definire “pulite” le rinnovabili ci sarebbe molto da dire).
Quando si esce dagli slogan e ci si addentra un po’ sul piano dell’argomentazione politica, molti veli cadono. I partiti della destra e del centro neoliberale si rivelano quasi sempre in malafede e disinteressati ad una reale transizione ecologica, mentre quelli che propendono per soluzioni meno impattanti spesso annaspano e sono costretti ad ammettere che le loro proposte non sono in grado di garantire l’eliminazione delle fonti fossili prima di qualche decennio.
Qual è la radice di queste contraddizioni? Il fatto che, come scrivevo all’inizio, la sinistra oggi si dimostra incapace di sollevare le domande profonde e apparentemente più scomode. Oggi nessuno dei partiti maggioritari mette realmente in discussione il modello capitalistico e il suo bisogno di una crescita esponenziale indefinita. Farlo significa di fatto essere estromessi dalla discussione pubblica. Non farlo rischia di portarci al disastro. Vedremo se una nuova sinistra avrà abbastanza coraggio.
Altri approfondimenti:
https://www.essenziale.it/notizie/alessandro-calvi/2022/09/09/elezioni-calvi-voto-utile

Classe ’97, di Palermo. Lettore incallito e riempitore seriale di ‘diari di viaggio’. Ottimista per necessità e idealista per indole, amo vagare nella natura tra lunghe nuotate e passeggiate senza meta. Le mille forme della vita sono ciò che più mi affascina e la domanda che mi guida è ‘qual è la vita migliore per l’uomo?’. Mi sono laureato a Pisa in filosofia e mi interesso soprattutto di etica e pensiero ecologista. Lotto per superare la dicotomia uomo-ambiente e per l’affermazione di una nuova visione del mondo in cui l’uomo abbia finalmente riconosciuto la propria posizione nel cosmo.