Un articolo di Luca Casanova

L’esigenza di scrivere su un tema così spinoso come l’economia dell’anidride carbonica nasce da un episodio reale. Una sera, seduto al bar con gli amici, mi ritrovo immerso in un discorso molto serio sul riscaldamento climatico. Andiamo avanti circa un’ora a parlare dei danni che l’uomo ha causato al pianeta e  soprattutto della paura che la nostra generazione prova nel vedere letteralmente “bruciare il mondo”.  Dopodiché il discorso vira sulle politiche attuate per contrastarlo e lì mi rendo conto di alcune lacune per me inconcepibili. Dal mio punto di vista è inammissibile che non si conosca il funzionamento dei  meccanismi di compensazione dell’anidride carbonica! Perché è proprio grazie a questi che le aziende ad alte emissioni potranno vantarsi presto di aver raggiunto le zero emissioni (nette). 

Esternalità negative 

Andiamo con ordine. Esistono mercati in cui si scambiano carbon credits che sono semplicemente titoli che  danno diritto a produrre una certa quantità di CO2. Questi strumenti finanziari si ispirano alla teoria che il premio Nobel dell’economia Ronald Coase espose in un articolo del 1960 intitolato “The Problem of Social  Cost”. In questo caso il “Costo sociale” sono le emissioni di CO2, in termini economici potremmo dire che  rappresentano un’esternalità negativa.

Il problema nasce dal fatto che il prezzo pagato per un certo prodotto, ad esempio un’automobile, dipende  dai suoi costi di produzione. Più il prezzo è basso, maggiori saranno le quantità di automobili vendute.  Tuttavia, bisognerebbe considerare insieme ai costi di produzione anche i costi sociali dell’automobile!  Durante tutto il suo ciclo di vita un’automobile genera emissioni di anidride carbonica e inquinamento.  L’inquinamento aumenta l’incidenza delle malattie respiratorie, questo provoca un costo per il sistema  sanitario nazionale, quindi per bilancio dello stato e quindi per NOI. Se il costo fosse incorporato nel prezzo  iniziale, ovviamente si venderebbero meno automobili e avremmo dal punto di vista economico la soluzione ottima…stiamo quindi producendo al di sopra delle nostre possibilità! 

Teorema di Coase

In linea teorica, questa stortura si potrebbe risolvere con un’imposta, detta Pigouviana, che dovrebbe  tenere conto di tutti costi sociali. Secondo Coase, invece, non sarebbe nemmeno necessario l’intervento  pubblico per risolvere l’arcano: basterebbe lasciare i privati liberi di contrattare i permessi a produrre ed  inquinare.

Immaginate che un’azienda per produrre abbia bisogno di inquinare un lago, fonte di sostentamento per gli  abitanti della zona. Coase assegna a questi ultimi la proprietà del lago. Se i benefici dell’azienda a produrre superano i danni ambientali, questa potrà presentarsi dagli abitanti offrendo una compensazione. Risultato:  gli abitanti vengono compensati, e l’azienda avrà la possibilità di sfruttare il lago, nulla di così geniale! 

Restano solo due piccoli problemi:

1) Come si compensa la fine del mondo? Come possiamo attualizzarne e quantificarne i costi? Non è  assurdo solo sentirne parlare? 

2) Possiamo fare affidamento sulla visione e sul comportamento di soggetti privati? Non sono gli  stessi ad aver sdoganato l’ipersfruttamento delle risorse a cui assistiamo oggi? 

The tragedy of commons 

I privati sono in grado di gestire un bene comune? Nel 1833 l’economista Wiliam Foster Lloyd si occupò del  problema, formulandolo in questi termini.

Siamo in un villaggio inglese agli inizi dell’Ottocento. Il bene comune è rappresentato da un pascolo, in cui i  pastori della zona portano le loro mucche a pascolare. Il profitto della loro attività dipenderà dal ricavo  portato dalla mucca (al netto del costo per l’acquisto) e dal costo derivante dal consumo delle risorse del  pascolo, che impatta sulla collettività.  

Se lasciamo la possibilità ad ogni pastore di poter decidere quanti animali acquistare, ognuno  razionalmente cercherà di ottenere il massimo profitto. Quindi acquisterà bestiame fino a quando il ricavo  derivante dall’acquisto di un capo in più sarà pari al costo. La valutazione di tale costo, si ripartisce però  sulla collettività! Ogni allevatore applicherà il medesimo ragionamento, dunque il risultato finale consisterà  in un iper-sfruttamento del pascolo. Se infatti la decisione fosse presa di comune accordo, la soluzione  ottimale per tutti consisterebbe in un livello di bestiame complessivo inferiore. La morale è che la  gestione/sfruttamento di una risorsa pubblica non può essere delegata all’iniziativa privata.

Diminuire o compensare?

Il protocollo di Kyoto  si basa proprio sulle tesi di Coase: gli stati e le società private, se correttamente  stimolate dal mercato, possono cambiare i propri comportamenti per raggiungere obiettivi di sostenibilità. 

JI (Joint Intervention) e CDM (Clean Development Mechanism)

sono i meccanismi flessibili previsti dagli  accordi di Kyoto per permettere il raggiungimento di tali obiettivi da parte dei governi e delle imprese. 

Gli obiettivi vengono perseguiti non solo attraverso la riduzione delle emissioni, ma anche grazie alla loro  compensazione. In questo caso i carbon credits (i diritti ad emettere CO2) possono essere comprati sul  mercato oppure prodotti attraverso la realizzazione di progetti sostenibili in paesi in via di sviluppo (in cui  investire costa di meno ndr). La valutazione di questi interventi si basa sul principio di addizionalità. In  pratica la quota compensata viene calcolata per differenza tra lo scenario in cui è stato implementato il  progetto e quello “baseline” in cui non è stata intrapresa nessuna azione. Lo scenario “baseline” non  dovrebbe essere il giusto riferimento di comparazione, dato che rappresenta una situazione di non ritorno  per il nostro pianeta dal momento che presuppone un improbabile stato di inazione.

Latte zero emissioni 

L’emittente tedesca ZDF ha pubblicato un’inchiesta riguardante Aldi, una catena di supermercati tedesca  che commercia latte a zero emissioni… è possibile produrre un litro di latte ad emissioni zero? Ovviamente  NO! Per cui i 55 miliardi di CO2 annui di cui Aldi è responsabile continuano ad infestare la nostra atmosfera,  mentre sono compensati attraverso investimenti in piantagioni di alberi in Uruguay. La stessa strategia  riguarda la maggior parte di grandi aziende ad alte emissioni. ENI, ad esempio, aumenta gli investimenti  nell’estrazione di combustibili fossili e si copre piantando alberi in Zambia. Non sto dicendo che incentivare  le aziende a piantare alberi sia un male! Ma non può e non deve essere uno strumento di marketing grazie  al quale le aziende raggiungono gli obiettivi di sostenibilità, preservando quote importanti di profitti e di  emissioni di CO2.

Oltre il danno, la beffa! 

Per assurdo, questi progetti hanno delle criticità su cui è impossibile chiudere gli occhi. Per prima cosa, ho  parlato di piantagione e non di riforestazione, perché ciò che avviene è semplicemente una coltivazione  massiva di alberi della stessa specie, molto diversa da una foresta in termini di ecosistemi e biodiversità.  Nel caso del latte a zero emissioni marca Aldi, la compensazione è stata effettuata con una monocultura di eucalipto su un’area di 21.000 ettari. Il secondo problema è il cosiddetto Carbon Colonialism. In questo  meccanismo, il bene scarso è rappresentato dalla superficie destinata alla piantagione di alberi. Rispetto  alla mole di emissioni da coprire, questa effettivamente scarseggia: basti pensare che secondo le stime di  Oxfam la terra necessaria per soddisfare le strategie di compensazione di tutte le imprese ammonterebbe a  cinque volte la dimensione dell’India. Spesso le aree adibite a questo scopo appartengono, per  consuetudine e non per diritto, a popolazioni rurali/indigene le quali vengono espropriate.

Il dilemma della certificazione 

L’ultimo problema riguarda la certificazione, ovvero, chi controlla?  

La crisi dei mutui subprime del 2008 dovrebbe averci insegnato qualcosa riguardo al conflitto di interessi tra  grandi aziende e agenzie di rating. Le società oligopoliste nel campo della valutazione di titoli Standard and  Poors, Moody’s e Fitch hanno garantito la qualità dei CDO finché la crisi finanziaria non esplose. Anzi, le loro  valutazioni (autoavveranti) hanno permesso l’ingrandimento del mercato fino a che gli investitori non si  scontrarono con la realtà: i titoli valutati positivamente non valevano niente! Abbiamo quindi scoperto che  esiste un incentivo ad emettere un rating positivo per non scontentare i clienti da cui dipendono i ricavi.  Senza contare il conflitto di interessi canonico, ovvero, la presenza di azionisti comuni tra società di rating e  azienda di cui viene eseguita la valutazione.

Per quanto riguarda il tema della sostenibilità, le criticità emergono sia nella valutazione dei singoli progetti  CDM/JI che a livello della valutazione ESG. Nella valutazione della sostenibilità di un’azienda, I principali  organi regolatori (SEC e ESMA) ci avvertono della presenza di conflitti d’interesse, dell’assenza di criteri  comuni e della mancanza di trasparenza delle stesse metodologie.

Nei progetti che generano carbon credits non è difficile trovare esempi di mala-valutazione. Il Guardian, ad  esempio, denuncia il greenwashing di Shell che compensava le proprie emissioni grazie all’attività di  salvaguardia della foresta Cordillera Azul in Perù. Qual è il problema? La foresta non era a rischio, essendo  già un parco nazionale. Purtroppo, non si tratta di un caso isolato, in uno studio dell’Oeko-Institut (2017)  per la commissione europea si legge che “l’85% dei progetti ha una bassa probabilità di garantire l’integrità  ambientale”.

Che fare?

1) Iniziare a chiamare le cose con il proprio nome.  

Bisogna contrastare seriamente il fenomeno del greenwashing e iniziare a distinguere seriamente tra  emissioni ridotte e compensate! 

2) Migliorare il sistema di certificazione e valutazione d’impatto 

I governi devono dialogare per unificare le metodologie di valutazione ESG a livello internazionale e per  controllare direttamente l’operato degli enti certificatori. Inoltre, garantire una reale efficacia dei progetti  di compensazione deve essere il fondamento di questa strategia. 

3) Scindere il binomio sostenibilità/profitto 

Purtroppo, la transizione avrà dei costi che bisogna sostenere subito per poter raggiungere gli obiettivi sulle  emissioni. L’allocazione gratuita di carbon credits e la generosa misurazione delle quote dei progetti con il  criterio “baseline” devono cessare. Così facendo, il prezzo dei carbon credits aumenterà di conseguenza  rendendo davvero meno conveniente produrre emissioni.  Tutto ciò deve avvenire anche a discapito degli  utili, scontentando magari gli azionisti, ma favorendo così le speranze delle generazioni future.

Bibliografia e sitografia

N. G. Mankiw, M. P. Taylor, Principi di Economia, Zanichelli, 2019 

R. Coase, The Problem of Social Cost, The Journal of Law & Economics, 1960

G. Hardin, The Tragedy of the Commons, Science, 1968 

ENAC, Il Protocollo di Kyoto, 2018, https://www.enac.gov.it/ambiente/impatto-ambientale/le-emissioni-gassose/il-protocollo-di-kyoto 

UNFCCC, What is the CDM, https://cdm.unfccc.int/about/index.html 

M. Wara, D. G. Victor, A Realistic Policy on International Carbon Offsets, Program on Energy and  Sustainable Development Working Paper 2008 

C. Slang, German supermarket Aldi buys carbon offsets from monoculture eucalyptus plantations in  Uruguay in order to claim that its milk is “carbon neutral”, REDD monitor, 2022  

https://redd-monitor.org/2019/03/17/oil-company-eni-plans-8-1-million-hectare-land-grab-in-africa for-carbon-offset-plantations/, REDD monitor, 2022 

K. Lyons, P. Westoby, Carbon colonialism and the new land grab: Plantation forestry in Uganda and its  livelihood impacts, Journal of Rural Studies, 2014 

 G.Monbiot, Carbon offsetting is not warding off environmental collapse – it’s accelerating itThe  Guardian, 2022 https://www.theguardian.com/commentisfree/2022/jan/26/carbon-offsetting environmental-collapse-carbon-land-grab 

[11] CONSOB, https://www.consob.it/web/investor-education/crisi-finanziaria-del-2007-2009 

 V. D’Angerio, Esg, la Consob americana lancia l’allarme sui conflitti di interesse nei rating, Il Sole 24  Ore, 2022 

 J. S. Clarke, E. Howard, L.Barratt, Doubts over Shell’s ‘drive carbon neutral’ claim; Unearthed, 2019 

Öko-Institut, How additional is the Clean Development Mechanism?, 2016  

https://climate.ec.europa.eu/system/files/2017-04/clean_dev_mechanism_en.pdf