1.     La letteratura al banco degli imputati

Obiezione, vostro Onore! Dal banco degli imputati dietro al quale è stata trascinata la letteratura dei classici negli ultimi decenni, accusata anche di istigazione alle ideologie di potere che hanno dominato la società occidentale, oggi si eleva solenne un’obiezione. Che l’arte e la letteratura fossero un bene universale è un assunto che si è imposto nella nostra società a partire dall’ Ottocento, e poi per tutto il Novecento, grazie soprattutto a uno dei maggiori teorici della visione umanistica dei testi classici, Matthew Arnold.

Negli ultimi tempi invece una triste critica è piovuta sulla letteratura come portatrice di valori universali, mossa soprattutto dai cosiddetti Cultural Studies secondo i quali, tra le altre accuse, essa avrebbe anche colpevolmente sostenuto le pratiche colonialiste ed imperialiste che hanno caratterizzato l’Occidente nei confronti degli altri popoli, quindi qualcosa di ben lontano dall’ imitare e dal considerare universale. L’accusa che ancora una volta viene rivolta a molti di questi testi del passato, i Classici, è crederli in realtà testi sospetti, infidi, colmi di pregiudizi contro le donne, gli omosessuali, i ceti subalterni, gli altri. Per tale motivo, andrebbero criticati, al più rifiutati. La letteratura viene così trascinata sul banco degli imputati per ragioni in fondo meschine, di polemica politica e ideologica.

Certamente le idee che hanno i critici del canone occidentale, inteso come complice di pratiche di potere e dominio, non sono prive di ragioni: è vero che in questi testi vengono promossi e veicolati valori e modi di vedere e intendere il mondo che sono il prodotto di culture e società molto diverse dalla nostra, dove per esempio vengono osannati i valori della guerra e i valori maschili, patriarcali. Ma questo basta a confutare l’ obiezione mossa ai Cultural Studies e ai loro sostenitori? Harold Bloom, un altro grande critico americano, nella sua opera Il canone occidentale, ha difeso, la letteratura della tradizione, riprendendo Arnold e sostenendo che questi testi hanno certamente veicolato una ideologia tipica del contesto in cui erano inseriti (e come potevano non farlo?) ma che conservano comunque un valore assoluto e universale.   

2.      Il carattere ambivalente della letteratura: l’altra faccia dell’ Iliade

Si pensi per un attimo all’ Iliade, pilastro fondamentale della tradizione occidentale. In quest’ opera ci si imbatte di frequente in scene di insopportabile violenza di fronte alle quali si è costretti a confrontarsi con gli aspetti più selvaggi dell’umano. Leggiamo:

Là, mentre attaccava, lo colpì con la lancia il nobile Achille,

e la punta gli attraversò diritta il morbido collo,

ma l’asta pesante di bronzo non gli recise la gola,

così che poteva parlare e rispondere; cadde riverso

nella polvere e su di lui si vantò il nobile Achille:

«Ettore, tu credevi, quando spogliasti Patroclo, d’essere

al sicuro e non contavi per niente me che ero lontano;

pazzo! Lontano, ma difensore molto più forte,

restavo indietro io accanto alle navi,

io che ti ho tolto la vita; cani ed uccelli

ti sbraneranno orrendamente, lui lo seppelliranno gli Achei». 

(Iliade, Libro XXII)

Una scena di puro delirio. Il dolore è espresso nella sua forma più estrema che diventa odio e porta alla morte. Eppure Omero non condanna mai Achille: all’ interno dell’intera opera non c’è forma di accusa o giudizi nei suoi confronti. Siamo di fronte a qualcosa di estremamente barbaro, un Achille spietato, assetato di vendetta. Il lettore è turbato, certo. Ma allora di fronte a questo poema pieno di violenza, rabbia, furore, che cosa è che ci fa dire che c’è anche dell’altro? Dov’è l’universale? 

Il discorso letterario è costitutivamente ambivalente e, anzi, in sé contraddittorio. L’autore di una grande opera è colui che riesce a mettere il lettore davanti ad una realtà contraddittoria, senza prendere partito e senza doversi schierare univocamente da una parte o dall’ altra. In una grande opera, che sia tale, trovano spazio prospettive antitetiche.

“Un testo pur affermando prevalentemente una posizione ne veicola sempre altre diverse e spesso contrarie alle intenzioni dell’autore. Il vantaggio di una categoria come quella di ambivalenza è che essa ci rende possibile comprendere che come lettori siamo sempre in sospeso tra i molteplici significati presenti nel testo, ma non perciò ci è concesso di decidere a nostro gusto quale significato dare all’ opera: dovremo comunque tenere conto di quanto nel testo viene esplicitamente affermato, ma anche del suo rovescio (di quanto viene negato, taciuto, rimosso).”

S. Brugnolo, D. Colussi, S. Zatti, E. Zinato, La scrittura e il mondo. Teorie letterarie del Novecento, Carocci Editore Roma, 2018, p. 335.

Come sostiene S. Heaney, nell’ Iliade c’è certamente la rappresentazione della violenza e di tutto ciò che di spietato essa comporta, ma c’è anche la rappresentazione del dolore intollerabile dei vinti. Certamente Omero era in sintonia con una certa cultura e ideologia aristocratica guerriera ma era anche capace di rappresentare il lato in ombra di quella violenza e di quella civiltà. Omero, oltre al trionfo dell’eroe, ci racconta anche l’umiliazione e il dolore del vinto, dimostra come lo stesso fenomeno possa avere due facce. Secondo quanto detto anche da Hanna Arendt, Omero non uccide per la seconda volta lo sconfitto ma testimonia imparzialmente anche per lui. Eccolo dunque il carattere di ambivalenza della letteratura e cioè la sua capacità di tenere presente e dare valore a situazioni e prospettive opposte tra loro.

La letteratura, l’arte in generale, esplora zone controverse dell’ umano, senza pretendere di darne una immagine completa e definitiva. A tale proposito sono esemplari le parole che Amleto rivolge a sé stesso dopo aver visto interpretare il ruolo di Ecuba con convincente dolore mentre assiste alla morte di Priamo:

“Non è mostruoso che quell’attore lì

Solo fingendo, sognando la sua passione

Possa forzare l’anima a un’ immagine

Tanto da averne il viso tutto colorato

Le lacrime agli occhi, la pazzia nell’ aspetto

La voce rotta, e ogni funzione tesa

A dare forma a un’ idea?

E tutto ciò per niente!

Per Ecuba!

Ma chi è Ecuba per lui, o lui per Ecuba

Da piangere per lei?”

 (W. Shakespeare, Amleto, Atto 2, scena 2) 

E’ una domanda che ogni lettore dovrebbe porre a se stesso. Dipendesse tutto e solo dall’ ideologia che veicola il testo, questa sorta di identificazione con i personaggi sarebbe difficile a realizzarsi. Chiaramente ci sono altre dimensioni che coinvolgono il lettore. 

3.      La mimesis come primo compito dell’ arte

Per Aristotele, il primo compito dell’ arte, soprattutto quella poetica, è la mimesis. L’arte ci darebbe una rappresentazione mimetica della condizione umana ovvero quella rappresentazione che riesce a cogliere alcuni aspetti rilevanti e tuttavia segreti del vissuto umano e dell’ esperienza di essere vivi con altri in un mondo umano. Per Aristotele, mimesis non è soltanto imitazione, non è pura e semplice riproduzione della realtà o copia. Mimesis è cogliere aspetti della realtà umana fino ad un certo livello di profondità, aspetti intimi ed essenziali, potenzialmente universali. E se la realtà umana è in sé ambivalente, la mimesis è tanto più riuscita quanto più riesce a cogliere e rappresentare l’ambivalenza e la complessità umana, che non è mai riconducibile semplicemente alla sua ideologia.

Achille incarna al massimo grado i valori dell’eroismo. É certamente l’eroe dell’ Iliade proprio in virtù del personaggio che è, per certi aspetti spietato. Tuttavia, Omero ci mostra quanto di enorme, quanto di fuori misura ci sia nei suoi comportamenti, alcune volte anche contraddittori. L’eroismo di Achille è un eroismo grande ma disturbante e inquietante. Eppure, ancora una volta, Achille non è esauribile in quanto rappresentante di un valore latamente inteso come ideologico, l’eroismo. È rappresentante anche di altro. Cosa?

Guido Paduano parla di un Achille dalle “emozioni infinite”. Omero ci mostra Achille come un personaggio fuori misura nei suoi comportamenti e nelle emozioni. E in lui possiamo immedesimarci. Tutte le emozioni umane hanno quella tendenza all’ infinito, a espandersi infinitamente, anche se poi ciascuno deve autolimitarsi in esse. Ma chi di noi non è mai stato in preda a potenti emozioni? L’ ira, la rabbia, sono in noi e siamo noi che le limitiamo e le conteniamo culturalmente. Così, attraverso un grande testo letterario abbiamo la possibilità di proiettarle fuori di noi, confrontarci e rispecchiarci in un personaggio che è invece tanto agito da quelle emozioni. Achille, almeno una volta nella vita, lo siamo stati tutti, nell’ ira e nella pietà. Basterebbe intanto questo a scagionare la letteratura classica dal banco degli imputati?