Un articolo di Lisa Collodoro

Il collettivo di Fabbrica non si ferma.

Il 25 marzo a Firenze si è svolta la terza manifestazione generale indetta dagli operai del Collettivo di Fabbrica ex GKN. 

Foto di Nicola Checcoli

La fabbrica toscana di semiassi, liquidata il 9 luglio 2021, aveva trovato, dopo pochi mesi di mobilitazione operaia, un nuovo proprietario nell’imprenditore Francesco Borgomeo che aveva promesso ai 300 lavoratori in questione un futuro di reindustrializzazione e ribattezzato la fabbrica Quattro F, ovvero Fiducia nel Futuro della Fabbrica di Firenze (Qf). Tuttavia, malgrado la promessa messianica e l’ottimismo del nome, a metà febbraio, dopo poco più di un anno dall’acquisto, sei mesi di stipendi non pagati e buste paga non consegnate, Borgomeo ha nuovamente liquidato la fabbrica e pignorato alcuni macchinari, rilasciando dichiarazioni che imputano agli operai l’inagibilità del sito produttivo. Questi i motivi della protesta. 

In un articolo su Libero, Borgomeo dichiara che il processo di reindustrializzazione sarebbe bloccato dal movimento Insorgiamo, che da mesi occuperebbe illegalmente la fabbrica e di aver pagato con soldi propri i lavoratori, che non hanno percepito la cassa integrazione retroattiva. Eppure, Qf perde il ricorso contro il primo decreto ingiuntivo di pagamento degli stipendi.

Foto di Nicola Checcoli

A questa narrazione vittimistica infatti, ha risposto direttamente il Tribunale del Lavoro di Firenze, che, in data 23 Marzo ha confermato che spetta all’azienda l’onere di retribuzione per il periodo dal 9 ottobre 2022. Le argomentazioni di Borgomeo sono state smontate una dopo l’altra: l’”inagibilità” dello stabilimento di Campi Bisenzio non risulta provata, né può essere scaricato sull’Inps il “pagamento integrale di tutte le spettanze contrattuali e di legge (mensilità, tredicesima, ferie, tfr, ecc. ecc.)”. Infatti, chiarisce la sentenza del Tribunale fiorentino, “in assenza di un atto di accoglimento della domanda di integrazione salariale ordinaria (CIG) il datore di lavoro continua ad essere obbligato al pagamento della retribuzione”. 

Chiunque appartenga a quel nutrito numero di persone che per vivere deve lavorare, può facilmente rendersi conto della violenza che si nasconde dietro alle schermaglie giudiziarie: 6 mesi senza stipendio. Mentre ci si attarda tra ricorsi e decreti ingiuntivi non rispettati ci sono persone in carne ed ossa, con i loro bisogni materiali e psicologici, che alla piena luce del giorno, nella democraticissima penisola italiana, vedono calpestato sulla loro pelle il contratto nazionale del lavoro e tutte le garanzie sociali ad esso connesse. 

Foto di Nicola Checcoli

Chi di questa violenza si è accorto e ha reagito, sono gli oltre 200 enti e associazioni che hanno aderito alla manifestazione, sono eminenti figure della cultura, come Moni Ovadia e Alessandro Barbero, che hanno firmato l’appello per i diritti, sono i cantanti che il prossimo 7 Aprile parteciperanno ad un concerto in supporto della cassa di mutuo soccorso. 

Il corteo, partito da Novoli, ha percorso le vie cittadine diretto verso la Fortezza da Basso senza particolari inconvenienti, in un clima festoso e di solidarietà fra cori, bandiere e tamburi in cui la lotta per il riconoscimento di un diritto si univa alla proposta di un futuro diverso, col favore di molti fiorentini affacciati alle finestre. Nutrita la partecipazione da parte di movimenti che sono venuti creandosi in Toscana negli ultimi anni a seguito di scelte politiche sempre più contestate: da Pisa il movimento No Base, contrario all’allargamento della base militare di Coltano a scapito dell’area protetta di un parco naturale, a Piombino il gruppo di No al Rigassificatore, a Pontedera col comitato No Valdera Avvelenata che punta il dito contro la riapertura della discarica della Grillaia in assenza di adeguate garanzie sulla protezione dalla dispersione ambientale di amianto. Oltre a gruppi territoriali, forte è stato anche il supporto di gruppi solidali nazionali, con pullman auto-organizzati che sono partiti da diverse città (tra cui Torino, Milano, Padova, Roma), per rispondere all’appello lanciato dal Collettivo. 

Foto di Nicola Checcoli

Forte e immediato il ringraziamento ai partecipanti da parte degli organizzatori: “È un corteo preparato, preparando un piano industriale, un piano industriale preparato da un corteo, un collettivo di una fabbrica di medie dimensioni che chiama un corteo mentre non sa come pagare le bollette. È un corteo che dice al resto del mondo: se posso io, tu cosa potresti fare? È che la resistenza qua è alternativa. (…) Con questo corteo avete assicurato ancora una volta un fatto: anche se ci sotterrassero, ormai siamo semi.(..) Grazie”. 

Il legame tra fabbrica e territorio non è qualcosa di nuovo ed originale, eppure è qualcosa che va ricreato. Il fatto che una fabbrica sia una ricchezza, non solo per chi ci lavora, ma di tutto il territorio che la possiede e la subisce, nel suo impatto estetico ed ambientale, per quanto incontrovertibile, è un tipo di rappresentazione che abbiamo perso, complici le continue delocalizzazioni e una narrazione che ci ha allontanato da questa prospettiva. Nel ripristino di questa consapevolezza sta una parte della forza del Collettivo di fabbrica, e nel rispetto di questa, la proposta di una reindustrializzazione dal basso per la fabbrica socialmente integrata, perché, con le parole di Dario Salvetti: “la sola cosa che ci sta proteggendo è la solidarietà del territorio e di tutte le realtà sensibili a questa causa”. Questo il corteo del 25 Marzo: un corteo per la reindustrializzazione dal basso. 

Perchè, sì, se c’è qualcuno che avanza progetti per una reindustrializzazione, questi è proprio il Collettivo di fabbrica. Forte del supporto del territorio, che non solo continua a scendere in piazza a fianco degli operai in una lotta comune per la dignità del lavoro, ma che partecipa in prima persona alla raccolte fondi per la cassa di mutuo soccorso (SOMS) , il Collettivo ex GKN ha lanciato un crowdfounding per una reindustrializzazione dal basso, e per una possibile conversione alla produzione sostenibile. Tra le proposte messe in campo con il supporto di intellettuali solidali afferenti a varie Università italiane, c’è quella della produzione di cargo-bikes e l’ambizione di inserirsi nella catena produttiva dei pannelli fotovoltaici col nome programmatico di GKN for Future.

Foto di Nicola Checcoli

La letteratura Working Class

A primavera i semi germogliano, la rabbia si fa energia rinnovabile e racconto. E nella realtà che quei semi vogliono creare la distanza fra cultura e lavoro si assottiglia, come quella fra ricchi e poveri, la cultura è cultura per tutti e di tutti e la teoria informa e completa la pratica. Su queste basi, all’interno dello stabilimento della ex-GKN, nei tre giorni del primo fine settimana di aprile ha avuto luogo il primo festival italiano di letteratura Working Class. In migliaia sono entrati nello stabilimento che Borgomeo ha cercato di far passare come inagibile per ascoltare la voce di scrittori italiani e stranieri che nei loro libri hanno scritto di Working Class. Di cosa si tratta? La scelta del termine Working Class non è casuale e deliberatamente non viene tradotto come “letteratura operaia” o letteratura proletaria. La Working Class comprende tutti i lavoratori: gli operai, i braccianti, i lavoratori precari a partita IVA, gli stagionali, quelli che non hanno un contratto. La sua caratteristica non si esaurisce nella crudezza delle storie che vengono raccontate, degli abissi della pura necessità materiale che vengono sondati, ma nella fusione di soggetto e oggetto della narrazione. Grandi autori ottocenteschi hanno descritto senza viverla, la dimensione del lavoro precario e mal pagato. Nella letteratura Working Class a parlare sono direttamente i protagonisti delle storie che vengono raccontate. Il festival ad accesso gratuito ed autofinanziato, organizzato con la partecipazione della casa editrice Alegre, proponeva un programma fittissimo e di  respiro internazionale sotto la supervisione di Alberto Prunetti: spettacoli teatrali, letture corali, proiezioni di film, incontri con gli autori si sono susseguiti per tre giorni in maniera continuativa col supporto organizzativo volontario di molti fra operai e solidali, e la forte emozione di tutti (clicca qui per conoscere tutto il palinsesto). Dal Regno unito un messaggio speciale di augurio al festival è arrivato dal regista Ken Loach, piccolo e felice fuoriprogramma. 

Questo può fare un Collettivo di fabbrica. Diventare da quattro, quaranta, poi quattrocento, quattromila e poi quarantamila. Parlare di reindustrializzazione, di impatto ecologico, di futuro sostenibile, di letteratura, di musica e di cinema, può farsi musica, letteratura e cinema.   Può fare quello che, con le parole di Prunetti, scrittore e traduttore piombinese “né Weil né i ricercatori compagni né Jacobin né io potremmo mai fare, quello che in dieci anni e un milione di battute non sono riuscito a fare. Hanno costruito un immaginario per la nuova classe lavoratrice e poi hanno vinto la prima battaglia di una lotta, hanno creato la mobilitazione operaia più forte da decenni, hanno scritto leggi, mobilitato tecnici e scienziati, preparato discorsi e canzoni e occupato rotonde, si sono presi cura della fabbrica e di voi che camminavate con loro e vi hanno chiesto come state”.

Foto di Nicola Checcoli