Da ragazzo andavo spesso a messa. Più precisamente, in realtà, dovrei dire che per anni sono andato a messa tutte le settimane, con una puntualità che quasi rasentava la testardaggine. Credere in qualcosa è, del resto, ciò che più conta per le nostre azioni – sono le idee di cui siamo convinti a plasmare il nostro mondo interiore. Allo stesso tempo tuttavia non si crede sempre alla stessa cosa né, soprattutto, allo stesso modo. Un ragazzo può smettere di guardare la croce, un altare, le misteriose vetrate delle chiese, non tanto perché sono cambiati solo gli oggetti a cui si rivolgeva – quanto perché sono cambiati i suoi stessi occhi. E poi non c’è certo bisogno di essere religiosi per credere in qualcosa. Un po’ di tempo fa mi sono ritrovato quasi per caso ad un’immensa manifestazione sindacale. Tra la fiumana di volti si potevano benissimo sentire alcune parole che ritornavano come una feroce cantilena – Giustizia, giustizia, giustizia!

E chi non crede nella giustizia? Chi non combatte per la propria famiglia, per il proprio bene? E quale bene non si esprime in tutta una serie di valori in cui crediamo? Ecco, mi sono spesso interrogato sulla natura di queste parole. Nietzsche ci ha insegnato che non possiamo più credere ai valori allo stesso modo in cui vi hanno creduto gli uomini degli ultimi due millenni. Questo perché sono cambiati sia i valori in quanto oggetto di pensiero, sia noi stessi soggetti che pensiamo quei valori. Di nuovo, è cambiato l’altare assieme ai nostri occhi. Ci vuole quindi un modo nuovo per pensare i valori così da superare la vecchia concezione che vi stava dietro. Ci vuole, appunto, una trasvalutazione di tutti i valori.
Ma da qui la filosofia contemporanea non è riuscita ad andare oltre. Si è pensato che abbandonare i vecchi valori significasse non poterli più usare in alcun modo. Si è pensato, per esempio, che non si dovesse più credere a niente e che tutti i valori e le convinzioni forti fossero destinati a scomparire dalla faccia della terra, quale vergognoso retaggio delle ere passate. Un placido relativismo era tutto ciò che rimaneva di questa soluzione estrema. Ma presto le giovani generazioni si resero conto che qualcosa bisognava pur fare, e di conseguenza in qualcosa bisognava pur credere – perché se pure erano scomparsi i valori non lo erano certamente la fame, la sete e il bisogno di vivere in un mondo migliore.
Quindi ci siamo ritrovati punto e a capo. Tra le mani avevamo i vecchi valori di una volta e di cui avevamo bisogno, ma senza la capacità di saperli usare veramente. Come in quel film comico dove il protagonista della storia non può né scendere e né salire dalla una scogliera. Ma è stata davvero detta l’ultima parola?
Se ci fermiamo un attimo a pensare, forse possiamo renderci conto che le cose stanno diversamente. Pensiamo di trovarci all’inizio di un processo quando in realtà siamo già verso la sua fine. La trasvalutazione dei valori non deve avvenire, ma è già avvenuta. E i valori, paradossalmente, sono più diffusi che mai. Questo perché hanno subito un’evoluzione: dai pochi e giganti dinosauri quali erano sono diventati i numerosi roditori destinati a colonizzare l’etica del futuro. Ma procediamo con ordine.

Di una parola è necessario distinguere due aspetti: il suo significato e il suo uso in diversi ambiti. Spesso queste prospettive nella sostanza coincidono e sono legate tra loro, ma formalmente parlando non sono la stessa cosa. La parola “scienza”, per esempio, nell’Ottocento non si riferiva più alle scienze tecniche e matematiche, come avviene oggi, ma piuttosto a tutte le discipline razionali in generale. Così “scientifico” poteva essere non solo un esperimento, ma anche una teoria filosofica, la critica di un libro ecc. Proprio perché il suo significato era più ampio e meno preciso, poteva essere utilizzato in un maggior numero di contesti e di ambiti. Successivamente il suo significato si è ristretto, e di conseguenza più ristretto e preciso risulta il suo ambito di applicazione nel linguaggio odierno. Questa distinzione può essere utile per comprendere il nuovo uso che oggi si deve fare dei cosiddetti “valori”. Trasvalutare infatti non vuol dire “fare a meno dei valori” o “non attribuire più un valore e un senso al mondo”. Piuttosto, significa “pensare i valori in maniera diversa” e “dare un senso al mondo in maniera diversa”. Più nello specifico, i valori hanno subito tra Ottocento e Novecento un processo di allentamento, vaporizzazione e sfumatura del loro uso e significato. I valori sono stati sottoposti ad una procedura di indeterminazione, e perciò sono diventati indeterminati.
Ma cosa significa indeterminazione di tutti i valori? Semplicemente, vuol dire che i valori non hanno più né un significato né un uso determinati e precisi. Se oggi chiediamo a qualsiasi filosofo il significato della parola “valore”, “bene”, “giustizia” o altro, dubito che riuscirà a rispondere con una definizione netta e indubitabile. Questo perché i valori e le convinzioni sono diventate indeterminate. Si possono usare, ma non si può sapere il loro significato.
La cosa sta in maniera del tutto analoga al principio di indeterminazione della meccanica quantistica. I fisici sanno benissimo che un elettrone “esiste” e che esso può essere “usato” per fare esperimenti. Tuttavia sono altrettanto consapevoli che, quanto più cercano di conoscere la sua posizione e la sua velocità contemporaneamente – ovvero, cercano di “determinarlo” – quanto meno precisa apparirà la sua misurazione. Come se l’elettrone, al pari del valore etico, avesse un’esistenza non solida, ma vaporea e probabile. Ora io domando: se i fisici sono riusciti a costruire un’intera nuova disciplina a partire da enti sfuggevoli e probabili quali sono le particelle, ottenendo addirittura risultati che arrivano fino alle nuove tecnologie, per quale motivo non dovrebbe nascere un’etica solida a partire da valori incerti?
Non solo questa proposta è possibile, ma se ne possono già contare i segni. L’indeterminazione dei valori, infatti, pur essendo un fenomeno unitario, ha avuto due manifestazioni opposte secondo prospettive diverse:
1) Dal punto di vista del significato, ai valori non può più corrispondere alcuna realtà ontologica o morale precisa. La realtà a cui essi alludono non è vuota, ma indeterminata, e perciò è sempre più difficile usare i valori nel loro significato etico forte quale si usava una volta. Assistiamo quindi ad un fenomeno di diminuzione qualitativa (o di intensità) dei valori secondo il loro significato
2) Dal punto di vista dell’uso, tuttavia, le cose stanno diversamente. Oggi la parola “valore” è usata in molti più ambiti di prima. Pensiamo all’economia o alla medicina, dove si parla di “etica d’impresa”, “responsabilità sociale d’impresa”, “bioetica”, o ancora “etica delle comunicazioni”, “etica ambientale” ecc. Si assiste ad un vero dilagare dell’etica e dei valori verso una sorta di “etica diffusa”. E questa diffusione, questo tentativo di inserire la morale ovunque è dato proprio dal fatto che i valori, non essendo più relegati a determinati confini filosofici, posso essere usati in maggiori modi. Osserviamo perciò un allargamento quantitativo (o di estensione) dei valori secondo il loro uso.
Come si può ben vedere, la “trasvalutazione dei valori” non è un fenomeno semplice e di mera rimozione. Piuttosto è un processo complesso dove i valori non scompaiono ma diventano meno solidi e più fluidi, meno definibili e più probabili, lasciando però aperta la possibilità di colonizzare tutti i territori della conoscenza.
E per l’etica? E per la politica? Come usare al meglio questi nuovi valori per agire sulla società? Alla luce di queste riflessioni si capisce benissimo come, per esempio, i tentativi di trovare una nuova “sinistra” o una nuova “destra” siano destinati al fallimento. Ciò perché non possono più essere trovati valori definiti che distinguano, nel loro significato, la destra dalla sinistra. Anzi quanto più si cerca di individuare la posizione e la velocità di queste particelle politiche, tanto più si otterranno risultati confusi e vedremo, paradossalmente, vaporizzarsi quei principi che una volta parevano così solidi.

Questo tuttavia non significa affatto che non esistano più la destra e la sinistra – anche perché gli elettroni esistono ancora. Una nuova etica o una nuova politica avrà la propria identità basata non tanto sui principi statici da cui parte, bensì secondo le traiettorie probabili e di massima che vuole tracciare per il futuro. Invece di chiedersi quali siano i valori alla base del partito, la sinistra dovrebbe soprattutto chiedersi quale sia lo stato sociale futuro che vuole immaginarsi come probabile.
Ma – si obietterà – non sono queste indicazioni generiche? Le traiettorie della politica non rischiano di confondersi le une con le altre, ottenendo molteplici posizioni di partito che vogliono risultati simili? L’unica mia risposta sarebbe questa: avete ragione, perché non ho risposte. Posso solo congedarmi di nuovo, verso i miei altari e le mie vetrate. Ma nell’incamminarmi avrò la consapevolezza che il mio corpo è fatto di milioni di particelle e valori indeterminati. E nonostante questa sua mancanza di definizione, avrà sempre la forza di avanzare e di unirsi ad un corteo, gridando la parola giustizia.
Bibliografia
Einstein A., Infeld L., L’evoluzione della fisica, Bollati Boringhieri 2011
Fabris A. (a cura di), Etiche applicate. Una guida, Carocci 2018
Heisenberg W., Fisica e Filosofia, Il Saggiatore 2008
Nietzsche F., Frammenti postumi 1885-1887, Adelphi 1975

Classe ’96, di Arezzo. Laureato magistrale a Pisa in filosofia. Un po’ ateo un po’ cristiano, mi piace professarmi cattolico, ma amo profondamente Nietzsche e ho dedicato due tesi alla teologia protestante. Penso che questa sia una buona definizione di “avere le idee confuse”. Appassionato di animazione e fumetti, spesso vado a passeggiare o a correre. Tutto ciò non fa altro che alimentare il mio passatempo preferito, e cioè avere la testa tra le nuvole.